Qualità della vita e zone interne
di Giuseppe Pinna
17 Febbraio 2023

Emerge dai dati dell’Istat che da qui al 2070 perderemo, nel nostro Paese, circa 11 milioni di residenti. Questo dato dovrebbe farci riflettere e cercare di comprendere come poter invertire questa tendenza. Già oggi c’è una enorme discrasia tra i vari territori italiani: si pensi che a Milano ci sono 2000 abitanti per km quadrato mentre nella provincia di Nuoro ce ne sono solo 35. 

Il fenomeno dello spopolamento delle zone interne è comune in tutte le aree interne, montane o collinari, ma nella nostra isola, ancor di più nella nostra provincia, ha dei risvolti ancora più preoccupanti. Un vero esodo che sta cambiando e creando non pochi problemi e al quale si cerca di mettere una pezza con iniziative più o meno efficaci. Una delle ultime è stata quella messa in campo da Poste Italiane S.p.A. con il progetto denominato Polis. La scelta è quella di utilizzare lo sportello postale come una emanazione della pubblica amministrazione in tutti quei comuni sotto i 15 mila abitanti – in Italia sono circa 7000 – così da poter offrire, a 16 milioni di italiani, tutti quei servizi che vanno dalla richiesta della carta di identità elettronica fino ad arrivare alle visure catastali. 

Se da una parte questa iniziativa, accolta con molto entusiasmo anche da tanti nostri sindaci, appare come una spinta in avanti per consentire di avere stessi servizi e stessa qualità della vita, dall’altra sembra quasi che non si voglia affrontare il problema andando in profondità. Basti pensare che quasi tutti i nostri comuni – per via della dimensione – si troverebbero investiti da questa iniziativa. Ma ha senso, per combattere anche lo spopolamento, investire ingenti somme in servizi tecnologicamente avanzati oppure sono solo misure palliative? Lo spopolamento delle nostre zone interne segue oramai un trend che dura da parecchi anni e ci sono tante considerazioni da fare: l’economia che prima era prevalentemente agropastorale lascia il passo a nuovi tipi di economie presenti nei grossi centri urbani e nelle coste. Molti lo chiamano l’effetto ciambella.

Un primo problema consiste nel circolo vizioso di un territorio o un paese che perde popolazione ed è destinato a perderne sempre di più: meno persone vuole dire meno domanda quindi meno lavoro e meno servizi. In secondo luogo un territorio che si spopola non si rigenera e quindi lascia il passo ad una popolazione sempre più anziana e quindi meno attrattiva per programmi ed investimenti futuri. Allora possiamo pensare che non basti un ufficio digitalizzato oppure la Spid per alleviare la vita del cittadino? Ai nascenti servizi, tecnologicamente avanzati, si contrappone una decrescita di quelli essenziali in un contesto dove spesso i fruitori sono persone anziane o persone, comunque, non propriamente informate-informattizzate. 

Se prima c’era un concentramento degli uffici della pubblica amministrazione ora c’è un decentramento digitale; se prima c’era un rapporto umano ora dovremmo interagire con un touch screen. Non abbiamo fatto un grosso balzo in avanti soprattutto perché non abbiamo messo al centro le persone, la loro esistenza e i loro bisogni. La razionalizzazione delle risorse e dei servizi non si possono fare sulla pelle delle persone. Già prima della pandemia la situazione era critica ma con l’avvento del Covid sembra quasi che sia nata una barriera invisibile che stabilisce una distanza sempre più insormontabile tra cittadino e la pubblica amministrazione. 

Se non vogliamo che nel corso degli anni ci sia una desertificazione delle nostre zone interne e dei nostri paesi dobbiamo pretendere delle misure straordinarie che riportino i servizi almeno a livelli dignitosi.
Qualcuno diceva che quello che manca non è il denaro ma la materia grigia di chi deve prendere le decisioni.

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