Il cardinale Semeraro presiede la celebrazione per la beatificazione dei Martiri del Zenta (ph Aurelio Candido)
Beatificazione dei martiri del Zenta, l’omelia del cardinale Semeraro
di Redazione

2 Luglio 2022

7' di lettura

Oran - Per gentile concessione del dicastero delle Cause dei Santi pubblichiamo la traduzione dell’omelia del cardinale Prefetto Marcello Semeraro che presiede il rito di beatificazione.

La vicenda del martirio subito da questi due nuovi Beati è molto lontana da noi. Lontana nel tempo, anzitutto, ma, specialmente per alcuni particolari cruenti, è pure lontana dalla nostra sensibilità… per quanto l’umana possibilità di essere crudeli manifesti nei secoli una sorprendente creatività di perversione! Ce ne giungono anche oggi, e purtroppo da fin molte parti della terra, dolorose testimonianze. Testimonianze d’ogni tipo; anche disumane. Quando, poi, si tratta di figli e figlie della Chiesa, che sono perseguitati e messi a morte in odio della fede, o anche di una virtù infusa, oppure per la giustizia praticate per amore di Cristo (cf. S. Tommaso, Super Sent. IV, d. 49, q. 5, a. 3, qc. 2 ad 9; Super Rom., VIII, lect. 7), allora emerge una nuova chiave di lettura, che Tertulliano esprimeva con questa classica sentenza: semen est sanguis Christianorum, «il sangue dei cristiani è un seme» (Apologeticus, 49: PL 1, 535).

Sant’Agostino la amplierà in questi termini: «Coloro che uccidevano i martiri ignoravano che, in realtà, il loro sangue era come un seme. Tant’è vero che da quei pochi caduti in terra è venuta su la messe che siamo noi. La morte dei suoi santi è dunque preziosa agli occhi del Signore, benché agli occhi degli uomini non abbia avuto alcun valore. Ma cos’è che dona valore a quella morte se non la morte del Santo dei santi; ossia del Signore, che è il primo seme da cui è germogliata la Chiesa. Cristo si faceva seme e germogliava la chiesa… Seminabat Christus et pullulabat Ecclesia» (cf. Sermo 335/E, 2: PLS 2, 781). Ecco, allora, quel che noi oggi stiamo celebrando, ricordando il martirio dei beati martiri Pedro Ortiz de Zárate e Juan Antonio Solinas: stiamo celebrando il fiorire, la primavera della Chiesa.

Nel canto al Vangelo è stato ricordato il verso delle Beatitudini: «Beati i perseguitati per la giustizia…». Papa Francesco lo commenta così: «La croce, soprattutto le stanchezze e i patimenti che sopportiamo per vivere il comandamento dell’amore e il cammino della giustizia, è fonte di maturazione e di santificazione. Ricordiamo che, quando il Nuovo Testamento parla delle sofferenze che bisogna sopportare per il Vangelo, si riferisce precisamente alle persecuzioni». Conclude: «Accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità» (Esort. Apost. Gaudete et exsultate, 92. 94).

Il martirio dei nostri due Beati ci è ben conosciuto: furono l’uno e l’altro ministri della prima evangelizzazione. Del beato Pedro, nativo di questa terra argentina, si potrebbe dire ciò che Robert Whittington, un contemporaneo di san Tommaso Moro disse di lui: «Ha l’intelligenza di un angelo e una singolare sapienza: non ne conosco l’eguale. Perché, dove trovare tanta dolcezza, umiltà, gentilezza? E, secondo che il tempo lo richieda, una grave serietà o una straordinaria allegrezza: un uomo per tutte le stagioni!». Anche del beato Pedro si dirà che fu uomo per tutte le stagioni, ossia testimone di Cristo in molti stati di vita. Un teste lo ha descritto come «buen político, buen marido y padre, y luego un excelente sacerdote, que conocía bien a los indios y los defendía, los bautizaba y cuidaba como cristianos» (Summarium Testium XVII, §129).

Quanto al beato Juan Antonio, egli era italiano, nativo della Sardegna. Entrò nella Compagnia di Gesù e, subito dopo l’ordinazione sacerdotale, giunse in terra di missione, dedicandosi anch’egli all’evangelizzazione degli Indios e al riguardo le testimonianze hanno messo in luce la sua generosa dedizione per i loro bisogni sia spirituali, sia materiali; come pure la cura pastorale a favore degli spagnoli, che dimoravano in quelle terre.

Fu la spinta missionaria a portarli verso il reciproco incontro. Insieme si misero a servizio del Vangelo e furono fedeli sino all’effusione del sangue. La storia del loro martirio, anzi, ci ricorda le parole di sant’Ignazio di Antiochia, che troviamo scritte nella sua lettera ai romani: «Lasciatemi essere cibo per le fiere, grazie alle quali [io potrò] conseguire Dio. Io sono frumento di Dio e sono macinato dai denti delle fiere, per diventare pane puro di Cristo» (Ai Romani IV, 1: Funk, Patres Apostolici, I, 256).

In queste parole, che ci giungono dai primi secoli della Chiesa, ci è riproposto l’intimo rapporto che esiste tra martirio ed eucaristia. Scrive sant’Agostino: «Offrendoci il suo sangue per la remissione dei nostri peccati, Cristo ci ha donato non tanto un esempio da imitare, quanto piuttosto un dono di cui essergli grati. Per questo, ogniqualvolta i martiri versano il loro sangue per i fratelli, ricambiano il dono da essi ricevuto alla mensa del Signore» (cf. In Io. ev. tract. 84, 2: PL 35, 1847: talia exhibuerunt, qualia de mensa dominica perceperunt).

È dall’Eucaristia, infatti, che nasce la forza di essere cristiani, di rimanere cristiani, di vivere da cristiani. Forse (ma penso che sia davvero così), se oggi c’è un cristianesimo debole e fluido e, comunque, una situazione dove c’è vergogna nel mostrarsi cristiani; e pure, paradossalmente al contrario, dove c’è calcolo e interesse nel dichiararsi tali; se per tanti la fede è ridotta a una «cosa», che si perde con facilità, la ragione è nella lontananza dall’Eucaristia.

San Carlo Borromeo, grande vescovo della Chiesa di Milano nel XVI secolo, con riferimento all’espressione «pane dei forti», che nel Salmo 78 rimanda al dono della manna al popolo d’Israele che cammina nel deserto e nella tradizione cristiana è riferita all’Eucaristia, riferendosi proprio ai martiri diceva: «Che c’è da meravigliarsi per la fortezza dei primi cristiani, di ambedue i sessi, se si armavano per il martirio di questo Santissimo Cibo… E ben a diritto! Questo pane dei forti, come la Scrittura lo chiama, conferisce fortezza; per essi erano più dolci del favo e del miele le funi, i ceppi, le catene alle mani, il carcere, i digiuni, la fame… Essi andavano alla morte con maggiore solerzia di quanto noi cerchiamo la vita. Quanta debolezza invece quando si smise di assumere questo cibo, quale infermità, quanta insicurezza… Quando il Signore Gesù, secondo il vangelo di Marco, risuscitò la figlia del Capo della Sinagoga ordinò che le fosse dato da mangiare: da ciò sappiamo che le nostre anime non possono restare vive e forti a lungo senza cibo spirituale» (Omelie sull’Eucaristia, Paoline, Milano 2005, 132-133).

Anche noi, nel giorno della beatificazione dei martiri Pedro Ortiz de Zárate e Juan Antonio Solinas, stiamo celebrano la Santa Eucaristia. Preghiamo, allora, così: «O Padre, che guidi la tua Chiesa pellegrina nel mondo, sostienila con la forza del cibo che non perisce, perché, perseverando nella fede e nell’amore, giunga a contemplare la luce del tuo volto. Amen».

San Ramón de la Nueva Orán, Salta (Argentina), 2 luglio 2022

Marcello Card. Semeraro


Sul sito www.causesanti.va la scheda dedicata ai due beati: http://www.causesanti.va/it/santi-e-beati/pietro-ortiz-de-zarate-e-giovanni-antonio-solinas.html 

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