13 Settembre 2024
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Nelle ricorrenze importanti della nostra vita e delle persone care viene spontaneo il desiderio di porgere i più sinceri auguri. Che cosa vuol dire “augurio”? L’etimo latino augere significa “aumentare”, “accrescere”: l’augurio dunque è la sincera speranza che l’esperienza in procinto di iniziare (o continuare) porti frutti abbondanti e nuove soddisfazioni, possa far crescere la nostra umanità.
Credo, quindi, che per iniziare un nuovo anno scolastico sia naturale un augurio rivolto agli studenti, ai loro docenti, alle famiglie. Auspicando che tra di loro cresca il rapporto di fiducia e di affetto capace di sostenere il cammino nell’affascinante avventura della vita.
«È bello vivere perché vivere è ricominciare, sempre, ad ogni istante» scrive Cesare Pavese nel Mestiere di vivere. Vale anche per la scuola. È possibile ricominciare col desiderio che accada qualcosa di bello e di grande. Il desiderio che i docenti possano affrontare le lezioni, specie l’incontro con nuovi studenti, animati dallo stesso entusiasmo provato il primo giorno di insegnamento. Altrimenti, prende il sopravvento lo scoramento ed il cinismo. Per gli studenti la sana voglia che l’anno scolastico sia un’occasione di sapere e di incontri di umanità. Mi viene da dire, parafrasando un detto latino nato in altro contesto: «Sine scire vivere non possum». Senza il sapere non posso vivere.
La scuola non è semplice trasmissione di informazioni, di saperi, di discipline. Deve essere un luogo in cui il ragazzo si sente fiorire, crescere, nel desiderio che la propria persona possa scoprire i suoi talenti e metterli al servizio di tutti. Una scoperta di sé e dell’altro, di un cuore che accomuna il ragazzo con l’insegnante alla soglia della pensione.
Purtroppo, nelle aule e nei corridoi delle scuole si vedono spesso volti disillusi, quasi senza speranza. Prima ancora che ai giovani, la speranza manca spesso agli adulti. Scriveva Papa Benedetto XVI: «Alla radice della crisi dell’educazione c’è […] una crisi di fiducia nella vita». La sfida di un nuovo anno scolastico sia allora quella di domandare che torni forte il desiderio di insegnare e di imparare presente nel primo giorno di scuola, sin nel primo vagito da noi emesso, nel primo pianto e nella prima carezza ricevuta. La vita è scuola e domanda.
Nei Dialoghi con Leucò, Pavese dà voce ad Esiodo, pastore non ancora poeta, che ricorda a Mnemosine, come la vita dell’uomo non si svolga lassù, sulle cime dei monti incantati, ma laggiù, tra le case, nei campi, davanti al fuoco, in un letto, e ogni singolo giorno «che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze». Ed aggiunge: «Né la morte né i grandi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo sforzo per star vivi d’ora in ora, la notizia del male altrui, del male meschino, fastidioso come mosche d’estate: quest’è il vivere che taglia le gambe, Melete».
Sarebbe bellissimo se il nuovo anno scolastico servisse a curare, educare e superare questo personale e altrui “male del vivere”. Una ricetta c’è, povera ma ancora insuperata: incontrare altre persone desiderose di conoscere e affrontare la vita. In questo modo nasce una compagnia. Si vince la solitudine e l’illusione di essere adulti credendo di fare da soli. Cammina davvero e apprezza il cammino compiuto solo chi ha un maestro e una compagnia, ragazzo o adulto che sia.