Il ministro dell'Istruzione del merito Giuseppe Valditara (ph miur.gov.it)
Tra merito e inclusione
Istruzione. Il dibattito dopo la modifica di denominazione del ministero
di Bachisio Porru

4 Novembre 2022

6' di lettura

Ha destato molta attenzione la decisione del nuovo governo di rinominare alcuni ministeri e specialmente quello dell’Istruzione che diventa da oggi anche del Merito, MIM. Per ora cambia solo il nome ma si evidenzia l’intenzione della coalizione governativa di «rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico». Nel ventennio si chiamava Ministero dell’Educazione, nel dopoguerra diventava dell’Istruzione, poi della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ancora dell’Istruzione e ora MIM. Quasi mai al cambio del nome sono seguite le riforme che le varie coalizioni governative promettevano, scordando sempre che nomina sunt consequentia rerum. Certo l’apposizione del solo Merito nella nuova titolazione ministeriale non poteva passare nel silenzio data l’enorme importanza che, almeno a parole, tutti attribuiscono alla scuola. Alcuni come il professor Enrico Galiano o il segretario della Cgil avrebbero voluto che si chiamasse solo Ministero dell’Educazione, come al tempo del Gentile. Ignoro se Landini lo sapesse. Altri propongono M. della Scuola o M. dello Studio. Galiano giustamente sottolinea che educazione significa «tirar fuori da ciascuno ciò che ha dentro. I ragazzi/e che alle medie sono buttati nello tsunami dell’adolescenza hanno bisogno di tutto: affetto, ascolto, calma, bellezza non certo del MIM…La scuola non è un posto dove si vanno a selezionare e premiare i migliori, ché pensarla così è il modo più antidemocratico che esista». Non v’è dubbio che un approccio meritocratico ponendo l’accento solo sul merito rischia di lasciare in secondo piano l’inclusione, concetto su cui si basa la pedagogia della scuola democratica e di quella repubblicana. A un primo approccio, inclusione e merito, dal punto di vista della formazione, sono paradigmi antitetici. Dichiararne uno, il merito, ignorando completamente l’altro, l’inclusione, può suscitare interrogativi e preoccupazioni. Per di più se nel discorso alle Camere, il nuovo capo del governo ignora del tutto termini come inclusione e dispersione.

Sull’Avvenire Luigino Bruni, ordinario di economia politica alla Lumsa, esprime forti riserve sul concetto di merito sia in educazione che in economia. Secondo Bruni «l’ideologia meritocratica che sta cercando con successo di occupare la scuola si basa sul dogma che i talenti siano meriti e che quindi chi ha più talento deve essere premiato di più… ma questo dogma è un imbroglio o quantomeno un equivoco, per la società e per la scuola. Perché i talenti sono doni e le nostre performance nella vita dipendono dai talenti-doni ricevuti. Quale merito per essere nato intelligente, ricco, buono? La scuola è ispirata perciò a valori opposti a quelli della meritocrazia. La scuola per tutti è stata pensata e voluta per ridurre le diseguaglianze che la meritocrazia, cioè l’ideologia del merito, invece, aumenta. Tutti i bambini a scuola, non solo i meritevoli devono essere messi in condizioni di raggiungere la loro eccellenza».

Galli della Loggia sul Corriere sferza gli avversari del merito ricordando che la scuola italiana è scuola della diseguaglianza proprio perché da oltre un trentennio nemica del merito. Al proposito cita il gap tra nord e sud per l’edilizia scolastica, le dotazioni degli istituti, la qualità degli insegnanti, l’evasione e la dispersione scolastica, le preoccupanti performance dei nostri studenti sublimate dal rito degli esami di maturità che al sud registrano voti ben più alti che al nord. Incassato il voto sulla fiducia al nuovo governo, oltre le varie e pur autorevoli opinioni, resta la realtà concreta della scuola con i suoi problemi, appena sfiorata dai dibattiti ideologici consumati sulla sua testa.

Ad oggi abbiamo il Ministero dell’Istruzione e del Merito. Sarà cura dei nuovi governanti coniugare questo enunciato con programmi ed azioni concrete. Per arrivare a decidere sul merito dovrà essere realizzato un serio sistema di valutazione: delle singole scuole, dei dirigenti scolastici, degli insegnanti che attribuiranno, essi, il giusto merito a ciascun alunno. Valutazione dentro una scuola inclusiva, capace di combattere efficacemente la dispersione scolastica e che contribuisca realmente alla formazione del cittadino. Concetti su cui si basa tutta la riflessione pedagogica, elaborati da J. Dewey oltre cento anni or sono e che hanno informato la scuola nelle società democratiche contemporanee. Non credo che il ministro Valditara, che è stato a suo tempo tra i più stretti collaboratori della ministra Gelmini, vorrà scostarsi da questi principi. Egli conosce le difficoltà incontrate in Italia per avviare un sistema di valutazione. Ultimo tentativo quello della Buona Scuola, sostanzialmente fallito per la tradizionale opposizione dei sindacati. Tutti. Come non sono andati a buon fine i tentativi di attivare una valutazione dei dirigenti scolastici e degli Istituti. Per non richiamare l’unico vero tentativo di differenziare il trattamento economico degli insegnanti sulla base di criteri oggettivi volti ad individuare il merito, messo in atto da L. Berlinguer, costretto alle dimissioni da una opposizione durissima di tutti i potenziali valutandi… Non è allora utile dividersi tra chi è per il merito e chi è per l’inclusione in nome della Costituzione e della democrazia.

È prudente vedere quali saranno le linee di riforma della scuola che supponiamo il nuovo governo incentrerà sul merito e, si confida, anche sull’inclusione, sulla partecipazione, sull’educazione alla cittadinanza. Non sarebbe neppure male se a elaborare finalmente questa idea di scuola venisse chiamata tutta la comunità politica, culturale, professionale e religiosa che il paese può esprimere. Contribuendo tutti a costruire la scuola di cui l’Italia ha da troppo tempo bisogno. Chè ai nomi conseguano i fatti e non si esauriscano in un semplice enunciato. Ennesimo flatus vocis.

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