Josefa de Óbidos, Agnus Dei (Museu de Évora)
Sambene
di Bachisio Bandinu

15 Aprile 2022

5' di lettura

“Questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”. Il momento più alto della Santa Messa rivela e giustifica il percorso della Passione di Cristo.
Vi compaiono tre parole fondamentali: sangue, alleanza, remissione dei peccati. Il sangue viene versato per riscattare l’umanità dal male. È l’atto sacrificale che sancisce l’alleanza dell’uomo con Dio, lava la colpa e garantisce la salvezza. Il sangue è la vita che viene offerta per la redenzione. Il sangue è il richiamo costante della Passione e attraversa i cinque misteri dolorosi. Nell’Orto degli ulivi, Gesù suda sangue davanti al peso doloroso del suo calvario.
La flagellazione alla colonna mostra un corpo lacerato dalle ferite e ricoperto di sangue. L’incoronazione di spine offre un volto rigato di sangue.
Il viaggio al calvario e la crocefissione completano l’effusione del suo sangue. Dallo squarcio del costato esce acqua mista a sangue: il versamento totale fino all’ultima goccia. Quel corpo dissanguato è l’offerta estrema della vita e da quel corpo agonizzante viene l’atto di filiazione per riaffermare l’alleanza.
È il sangue a farci toccare la verità dell’incarnazione, la corporeità e l’umanità di Cristo.

Il riferimento al sangue è presente in molti passi del Vecchio Testamento, (Genesi, Deuteronomio, Levitico), motivo di offerta e di tabù. Offerta dell’animale a espiazione delle colpe e divieto di mangiare la carne con la sua vita cioè col suo sangue. Un’alleanza suggellata col sangue degli animali sacrificati.
Nel Nuovo Testamento i sacrifici di animali cessano di avere un significato per il popolo di Dio: è il sangue di Cristo a compiere pienamente e una volta per sempre l’opera di espiazione e di salvezza.
E se nel Vecchio Testamento il sangue viene sparso anche come sottrazione della vita, a motivo di guerra e di violenza, il Nuovo Testamento annuncia e sancisce il comandamento dell’amore e del perdono, e proclama la buona novella delle Beatitudini. Già Matteo e Luca accennano al “patto del sangue”, riaffermato da Paolo come “patto di grazia stabilito da Dio” a merito del sacrificio del Calvario. Nella prima lettera di Giovanni, il sangue purifica ogni peccato, chi mangia la carne e il sangue di Cristo guadagna la vita eterna. Pietro dice: non siete stati riscattati con argento e oro, ma col prezioso sangue di Cristo, come agnello senza difetto e senza macchia. Ma è Paolo a insistere sul valore prezioso del sangue di Cristo. Nella lettera agli Ebrei la parola sangue ricorre continuamente per riaffermare il dono salvifico del sacrificio della Croce, ma anche per distinguere il versamento del sangue, per mano dell’uomo, nell’Antico Testamento mediante l’offerta di capri e vitelli, come il patto di Mosè fatto con Dio, dal nuovo patto consacrato dal sangue di Cristo per la redenzione eterna. E con accenti diversi, il riferimento al sangue di Cristo ricorre nelle Lettere ai Romani, agli Efesini e ai Corinzi per riaffermare la redenzione dell’umanità mediante il sacrificio del Golgota, rinnovato nella celebrazione della Messa.

Il ricorrere nella Sacra Scrittura della parola sangue non ha solo il significato suo proprio e cioè come sostanza, racchiude bensì anche il valore di simbolo che ne allarga l’orizzonte per coglierne il significato più profondo. Davvero esteso è il significante “sangue” nel linguaggio dei Sardi, nei diversi aspetti e momenti della società e della cultura. Soprattutto in riferimento alla sacralità del sangue e alla genealogia.
Quando si conferma la parentela diretta si dice: “Sun de su matessi sambene”, mentre per indicare l’inimicizia si dice: “Non curren unu sambene”.
La disamistade diventa irreparabile quando c’è un omicidio perché “An toccatu su sambene” e allora “Sambene cramat sanbene”. A cambios torratos: il cruento scambio di doni. Anche nella difficoltà della coppia ad avere figli si dice: “Non currisponden sos sambenes”.
Il legame profondo della linea genealogica è testimoniata dal pianto rituale, quando la madre dell’ucciso canta nel lamento: “Fizu meu, sambene meu”.
L’amicizia più solida è quella consacrata dal sangue dei contraenti nello scambio reciproco di una goccia di sangue. Così come il donare il sangue per una trasfusione rappresenta l’offerta del proprio sangue per la salvezza dell’altro: il donatore è un salvatore.
La memoria del sangue nella Settimana Santa rivela il dono della redenzione e annuncia il mistero della Resurrezione. Ed è questa memoria, rinnovata nel sacrificio della Messa, che ci spinge a pregare, secondo le intenzioni di Papa Francesco, per la fine delle guerre con i suoi costi umani di sangue e di morte.

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