L’Ariston, una fabbrica di cinema nel cinema
Venne fondato nel 1958 a Bitti da tziu Paskaleddu Farina
di Natalino Piras
6' di lettura
22 Novembre 2024

Noi bittesi diciamo, con l’ironia di cui pure siamo capaci, di essere «sa idda ‘e s’istoria». A significare qualcosa che fa storia in senso rovesciato, provoca rumore e scandalo, si espone alla beffa, insomma uno spettacolo che non ha niente da invidiare ai litigi di vicinato. Riportando al positivo la definizione e facendo entrare la parola «cinema» in «s’istoria» potremmo dire che Vitzi è pure «idda de s’istoria de su cinema». Come visione e, passando da spettatori a attori, partecipi delle infinite trame che il cinema e la storia del cinema raccontano.   

Nel corso del tempo, dall’immediato secondo dopoguerra sino al Duemila inoltrato, sono esistiti a Bitti soprattutto il cinema parrocchiale e l’Ariston, su Cinema ‘e Peppanna. Venne fondato nel 1958 da Pasquale Farina, tziu Paskaleddu, appunto marito di Peppanna, diventato impresa familiare con i figli Dino, Ulisse, proiezionista, Grazietta in biglietteria e lui, il mitico Egidio, factotum. Tutti i venerdì scendeva a Cagliari per fare rifornimento di pellicole 35 mm., seconde e terze visioni nazionali, l’intera programmazione settimanale, a giorni alterni, compresi la domenica e i giorni festivi. I film erano per tutti, per adulti, adulti con riserva, sconsigliabile, escluso, secondo il libro con la coperta verde del Centro Cattolico Cinematografico. La segnalazione veniva poi riportata in piccole schede mobili da attaccare su una specie di calendario, sopra l’acquasantiera all’entrata della chiesa di San Giorgio. La domenica, i cattolici di stretta osservanza e noi bambini eravamo destinati a su cinema ‘e probanìa. Gli altri all’Ariston, via Deffenu 14. Affollate pure qui le proiezioni festive, in galleria e in giosso, detto «platea». L’Ariston specialmente, in concorrenza al cinema parrocchiale, aveva un pubblico di aficionados nei giorni feriali. Questo pubblico, ignorando le segnalazioni della Chiesa, classificava i film a seconda del gusto e del grado di comprensione come bellu cinemabellu cinemeddubellu cinemozze, ma pure bella mattonatanon si bi cumprennet nuddaroba pro iscassatos: così un gruppo di pastori autodefinitisi «pecorai» schiamazzanti in galleria per Andrò come un cavallo pazzo (1973) di Fernando Arrabal. Avevano ragione.  

All’Ariston, in galleria, c’erano differenti anime e fazioni, patiti e esperti. C’eravamo, negli anni Settanta, noi del Collettivo Proletario che poi avremmo fondato il Cinestudio in contrapposizione al Cineforum parrocchiale. Quante aspre battaglie combattute in nome del cinema. Sempre in galleria, c’erano, in solitaria, Sepereddu, Carreddu, e poi, gruppo storico, tziu Maureddu ‘e Cossorodde, Mauro Delogu, farmacista che fu podestà, Cozziente, Antoni Carzedda gestore del Consorzio agrario insieme al fratello Pipineddu, Massidda, Vito Mauro e qualche altro occasionale. Durante la visione, a voce alta, il gruppo di Maureddu ‘e Cossorodde esercitava critica cinematografica. Più rimostranze.  

Un martedì, proiezione serale, Maureddu ‘e Cossorodde si rivolge al nipote Egidio dopo il primo tempo di un film vietato ai minori di 18 anni: «Ma cann’est chi la piantas de vature tottu custos cinemas de b…».

Un altro martedì, replica serale di Mussolini ultimo atto (1974) di Carlo Lizzani passato in visione pomeridiana la domenica prima. Alla fine del film, a duce giustiziato dal partigiano Valerio, sempre tziu Maureddu sbotta contro Egidio: «Ma cann’est chi la piantas de vature tossu custos cinemas antivascistas!».

Un giovedì, ancora proiezione serale, è toccata reprimenda a un noiosissimo Teorema (1968) di Pier Paolo Pasolini, vietato ai minori di 18 anni. A un certo punto entra in scena uno smunto, uscito dalla pioggia, magro come la fame. Dice Cozziente: «Tziu Maurè, sicunnu mene custe est dae meta chi no’ idet recattu!».

In basso invece, in platea, punti cardine erano i fratelli Mancinelli, tziu Antoneddu e tziu Romaneddu, mio padre, e lui, tziu Frantziskeddu ‘e Cacallu, Fancesco Attene. Era un giorno feriale. Maggiore, soprannome di Frantzischeddu ‘e Cacallu, segue con attenzione lo svolgersi della trama del Giorno dello sciacallo (1973) grande film di Fred Zinnemann. Il 14 luglio, ai Champs Elysees il presidente De Gaulle evita il proiettile sparato dal fucile a silenziatore del killer, lo sciacallo, perché proprio in quel frammento si china a dare un bacio a un partigiano in carrozzella. Immediato tziu Frantzischeddu: «Bonu proe ti acat cussu vasu!».

Il clou del cinema nel cinema resta la domenica di Giordano Bruno (1973) di Giuliano Montaldo, Gian Maria Volonté nella parte del filosofo nolano. L’Ariston è pieno in ogni ordine di posti, in basso e in alto. Santu e Pirainu, tra di loro compari, entrano in galleria a film che sta per finire, in un silenzio carico di tensione. Hanno già acceso il rogo per l’eretico. Si intravede del fumo, a pieno schermo.  Santu e Pirainu sono anche loro in fumos, conseguenza di tanta birra a nastro a chi sa cos’altro. È Santu che a voce sonora, dilatato ruggito, esclama: «Compare Pirà, s’attore son’arrustinne!».  

La tensione filmica scema di botto. Si innesca un vivace battibecco che si fa alterco tra Egidio e i due compari a base di «Ma non ti vergogni?», «Si no’ mi la piantas’ t’acchirro una carrettata de pistolatas!». Mancava la polvere da sparo.

E tante altre storie che un giorno o l’altro Paqujto, figlio di Egidio, e Christian, figlio di Dino, attuali titolari dell’Ariston, dovranno far diventare libro.

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