Il professore a cui non piacevano gli accademici
Ritratto di Manlio Brigaglia, un vero intellettuale storico, giornalista e grande divulgatore di cultura
di Natalino Piras
ph sardegnadigitallibrary.it/
5' di lettura
14 Marzo 2021

Ci teneva ai barbaricini, intesi come nuoresi del capoluogo e dei paesi del circondario. Era, oltre che compagno di tante autentiche epopee culturali, compare di battesimo di Michelangelo Pira. Così professor Manlio Brigaglia (Tempio Pausania 12 gennaio 2019 – Sassari 10 maggio 2018), storico, giornalista, docente universitario, intellettuale organizzatore di saperi, uomo di incommensurabile “canoscenza”, detto in maniera dantesca, forse uno dei più grandi divulgatori di cultura tra Novecento e Duemila. Fu mitico professore di liceo all’Azuni di Sassari, a sua volta allievo del grande professor Pittalis, bittese. La morte lo colse “sulla breccia”, mentre lavorava, sulla sua scrivania, mettendo mano a un qualcosa da costruire, libro o pagina di giornale che fosse.
Tra le intraprese, a parte i libri di storia contemporanea, manuali e saggi, tutti di facile e godibile lettura, l’Enciclopedia della Sardegna del 2003 a riprendere quella del 1982, la cura di un Dizionario delle città e dei paesi sardi che riprendeva quello dell’Angius-Casalis.

La prassi culturale è stato il suo segno, arte e mestiere, passione e motivo di vita: tutto calato e rapportato al contesto dello specifico sardo. Ci sono in questo fare di Brigaglia l’ostinazione dei sardi, l’educazione cattolica che si coniuga con i saperi di un enciclopedista. Era un impareggiabile correttore di bozze, lui che dominava la struttura della lingua italiana come cosa naturale.

Sterminata la bibliografia. Ce n’è una, aggiornata al 1998 a partire dal 1950, a cura di Elisabetta Pilia: cinquant’anni di scritti. Basti qui rammentare l’esperienza “doppia” della rivista Ichnusa, prima tra Cinquanta-Sessanta con Antonio Pigliaru e poi la ripresa come Sardinian dream negli anni Ottanta-Novanta: per 23 numeri che sono segno della Storia attraverso la Sardegna. Poi la sua presenza quotidiana nei mass-media, nella loro parte migliore, docente, pedagogica. Si occupava di sport, acceso tifoso della Juventus e per questo spesso in contrasto con il padre, professor Salvatore Brigaglia, anti Torres e tifoso del Cagliari. Una volta a tal proposito ho assistito a una disputa in diretta al Setar di Quartu, mediatore l’altro grande amico di Manlio, Peppino Fiori.

A Brigaglia non piacevano gli accademici, quanti ostentavano il titolo però aridi nella comunicazione. Non che lui non fosse consapevole di sé e del suo ruolo. Ma sapeva come comunicarlo, come dire che lui tra tutti quei titolari di cattedra non era mai diventato ordinario.

Come per diversi altri, Manlio Brigaglia è stato per me un maestro. Non gli ho mai dato del tu anche se insieme siamo stati per pagine di giornali, convegni, conferenze e pure la compilazione di qualche libro. Per oltre un trentennio.

A dire ancora di Nuoro, una volta, prima di un qualche convegno alla Biblioteca Satta siamo entrati al bar di Cannavedda, in piazza Asproni. Il titolare ha riconosciuto il professore e il professore si è ricordato di Cannavedda, della volta che il bar, a metà tra iscopile e cosa moderna, aveva titolarità in uno dei vicoli tra Arcu ’e Tziminariu e via Tola. Era tempo di esami di maturità e professor Brigaglia, commissario alle magistrali, era entrato nel bar di Cannavedda insieme al preside, il mitico Peppino Catte. Solito rituale di “cosa prende”, era di mattina, e accortosi che un poco il caffè latitava da quelle parti, Brigaglia si schermisce, è indeciso. Dice pure: «Sono astemio». Allora è Peppino Catte a prendere la decisione e rivolto a Cannavedda ordina: «Juvà un bicchiere di vino per me e un Campari soda per il professore!» Molto di quanto devo a Manlio Brigaglia dipendeva da quando nel 1983 mi dette incarico di tradurre dal sardo all’italiano il romanzo Sos sinnos di Michelangelo Pira. Una scelta allora azzardata considerato che non facevo parte di nessuna accademia, nessuna élite, nessun cenacolo. La traduzione sarebbe stata pubblicata come inserto di un numero della rivista Ichnusa nel 1984 e poi come testo a fronte in una edizione di Sos sinnos nel 2003, nella Biblioteca de La Nuova Sardegna. Manlio Brigaglia è stato «uno che la giornata se l’è fatta», mi ha detto al telefono Salvatore Tola, nostro comune amico, in veglia davanti al corpo del professore. Rimane un grande storico della Sardegna, specie quella contemporanea. Se mi è concesso un paragone lo somiglio a Marc Bloch, fondatore della scuola delle Annales, combattente della Resistenza, che considerava la ricerca come capacità di fiutare e seguire la presenza umana nei fatti della Storia. Nella immensa produzione di pensiero e libraria di Manlio Brigaglia ci sono gli snodi del pensiero autonomistico, l’Autonomia quella progettata e quella fallita. E, come sosteneva Antonio Pigliaru, il fatto che spettava e spetta agli intellettuali intervenire, sempre, in tutti gli ambiti: nella questione meridionale, nella conflittualità dei codici tra Stato italiano e altro Stato, nei rapporti di dominio, nel fatto che al Potere si risponde con l’organizzazione di altri poteri. A Manlio Brigaglia molto interessava l’umanità delle persone, viste nella dimensione pubblica ma anche privata, familiare. Era e resta un grande costruttore di umanesimo.

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