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L’Ortobene
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08100 Nuoro
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Autorizzazione del Tribunale
di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
C.F. 93003930919
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
La pagina evangelica domenicale che conclude questo anno liturgico (nella solennità di Cristo Re dell’Universo) è tratta dal racconto della passione narrata nel testo di Giovanni e riporta una parte del dialogo tra Gesù e Ponzio Pilato. Da una parte il rappresentante del potere politico, dall’altra un condannato la cui vita sembra totalmente in mano al procuratore romano. L’impressione che riusciamo a cogliere da questi versetti in realtà sembra essere un’altra: chi dei due è libero? Pilato, che ha il potere di rimettere in libertà Gesù, dipende da ciò che teme: il popolo e i suoi capi da una parte e i suoi superiori a Roma dall’altra. Ha paura e per questo non è un uomo libero.
«Pilato disse a Gesù: “Sei tu il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”. Pilato disse: “Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”» (Gv 13, 33b-35). Il procuratore romano cerca di capire chi ha di fronte e inizia il dialogo riportando ciò che gli è stato riferito. Gesù risponde con una contro-domanda: per conoscere la sua identità occorre essere liberi da precomprensioni, non fare un’interpretazione sbagliata a partire da ciò che non è frutto della propria esperienza.
Pilato dimostra di non essere a conoscenza dei fatti che riguardano Gesù e chiede che cosa ha fatto, perché lo definiscono “re dei Giudei”. «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 13, 36). Nel testo originale Gesù dice che il suo regno “non è da questo mondo”, cioè non proviene dagli uomini, non nasce da un’organizzazione: quella dei poteri della terra è una logica di combattimento e violenze, quella di Gesù è una logica di accoglienza e dono. Lui è un re che non manda a morire i suoi sudditi per salvare il suo trono ma sacrifica sé stesso versando il proprio sangue.
Pilato non riesce ancora a comprendere e chiede nuovamente se davvero si autoproclama “re”. «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 13, 37). In quel momento il procuratore romano diventa profeta: farà porre sulla croce l’iscrizione: “questi è il re dei Giudei” (cfr. Gv 19, 19). Quando gli faranno notare che doveva scrivere che lui si era dichiarato in questo modo, la risposta di Pilato è lapidaria e senza possibilità di replica: «Quel che ho scritto, ho scritto» (Gv 19, 22). In fondo anche lui, in maniera inconsapevole, ha riconosciuto un modello di regalità diversa da quella a cui si era abituato e dalla quale dipendeva: un potere che non crea paura ma rende più umani e più liberi, capaci di amare fino a donare sé stessi.