La denatalità segna il futuro del Paese
Più famiglia e più lavoro per salvare l’Italia
di Franco Colomo

29 Luglio 2022

10' di lettura

Una ripresa tra ostacoli e incertezze, questo il quadro che emerge dal Rapporto annuale 2022 presentato dall’Istat l’8 luglio scorso.
Dopo la crescita record del 2021, a inizio di quest’anno il Pil è tornato sui livelli pre-pandemia. Ora però il deteriorarsi degli scenari internazionali, l’invasione russa dell’Ucraina, la crisi energetica e la crescita dell’inflazione – sospinta dai rincari delle materie prime, in particolare del gas naturale, il cui prezzo è aumentato di circa sei volte – hanno peggiorato le attese e le prospettive di crescita.

«Guardando al futuro – si legge nel Rapporto – la sfida della transizione ecologica alla quale il Pnrr dedica circa 85 miliardi di euro di investimenti è particolarmente rilevante per il nostro Paese, che dipende dall’estero per oltre tre quarti dell’approvvigionamento energetico». Occorre poi modernizzare le amministrazioni pubbliche, che dispongono di un organico ridotto e invecchiato.

L’impatto della pandemia
Il Rapporto traccia un bilancio delle conseguenze della pandemia sul tessuto sociale e produttivo del nostro Paese. Con 16 milioni di contagi e oltre 160mila decessi associati al Covid tra marzo 2020 e aprile 2022, l’Italia è stata fra i Paesi Ue maggiormente colpiti dalla pandemia, soprattutto nella prima fase, con un netto miglioramento nel 2021 in concomitanza dell’avvio della campagna vaccinale.
Interessante, al di là di polemiche, un dato: «In Italia quasi il 90% degli adulti riconosce l’utilità dei vaccini nel contenere la diffusione della pandemia e li ritiene sicuri, tre su quattro manifestano preoccupazione per la scelta di alcuni di non vaccinarsi, e durante la quarta ondata pandemica più dell’80% si è detto d’accordo con la necessità di mostrare il green pass o l’esito negativo al tampone Covid-19 per viaggiare, andare al ristorante o in albergo, assistere a spettacoli». Il nostro Paese è poi al primo posto nel contesto internazionale sia per il giudizio favorevole a una eventuale obbligatorietà delle vaccinazioni (73% contro 56% della media europea) sia per il consenso all’adozione di misure restrittive per l’accesso a luoghi/eventi verso quanti rifiutano di vaccinarsi (82% contro 71%).

Un “inferno” demografico
La pandemia ha avuto un impatto rilevante su tutte le componenti della dinamica demografica: l’elevato eccesso di mortalità registrato nel 2020 è stato accompagnato dal quasi dimezzamento dei matrimoni e dalla forte contrazione dei movimenti migratori a cui si sono aggiunti, nel 2021, gli effetti recessivi dovuti al calo delle nascite. La perdita di popolazione è stata pari a 658mila residenti tra il 1° gennaio 2020 e il 31 dicembre 2021, mentre il deficit è risultato doppio rispetto a quello riscontrato nel biennio 2018-2019 (-296mila). Il calo della nuzialità (-47,4% matrimoni celebrati in un anno) non ancora recuperato e la diminuzione di coppie giovani al primo matrimonio hanno ristretto il numero di potenziali genitori, con evidenti ripercussioni sulle nascite a partire dagli ultimi due mesi del 2020 (relativi ai concepimenti di marzoaprile 2020). Il crollo delle nascite si è protratto nei primi sette mesi del 2021 per poi rallentare verso la fine dell’anno. Secondo i dati provvisori per il primo trimestre 2022, a marzo il calo raggiunge il suo massimo (-11,9%). In Italia i single (33,2% dei nuclei, pari a 8 milioni e mezzo di persone) hanno superato le famiglie (31,2%). La crisi demografica, come ha commentato Leonardo Becchetti, «non è solo fatto economico ma crisi di relazioni e di capacità di guardare con speranza al futuro». Altri dati su cui riflettere: 4,6 milioni di anziani hanno bisogno di aiuto nella cura personale e della casa. Circa 7 milioni di giovani vivono nelle famiglie di origine (67,6% dei 18-34enni). Il 78,5% alunni di cittadinanza straniera dichiara di pensare in italiano.

Povertà e disuguaglianza
Allarmanti i dati su povertà e disuguaglianza. Il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato dal 2005 al 2021, passando da 1,9 a 5,6 milioni (il 9,4% del totale), mentre le famiglie sono raddoppiate da 800 mila a 1,96 milioni (il 7,5%).
La povertà assoluta è tre volte più frequente tra i minori (dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021) e una dinamica particolarmente negativa caratterizza i giovani tra i 18 e i 34 anni (l’incidenza ha raggiunto l’11,1%, valore di quasi quattro volte superiore a quello del 2005, il 3,1%).
Il rapporto Istat promuove il reddito di cittadinanza e di emergenza, misure che hanno evitato a un milione di individui (circa 500mila famiglie) di trovarsi in condizione di povertà assoluta. A preoccupare è la crescita dei lavoratori poveri. Quasi un milione di dipendenti del settore privato percepiscono meno di 8,41 euro all’ora e una retribuzione totale al di sotto di 12mila euro l’anno. L’analisi non considera l’agricoltura e il lavoro domestico.
Il numero sale a 4 milioni di dipendenti – il 29,5% del totale – se si considera solo il limite della bassa retribuzione annua di 12 mila euro. Invece, al di sotto della sola soglia della bassa retribuzione oraria (8,41 euro) risultano 1,3 milioni di dipendenti, il 9,4% del totale.
L’inflazione rischia di amplificare questo fenomeno, andando a colpire i redditi medio-bassi. A fine anno, sottolinea l’Istat, ci si attende una variazione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo pari a +6,4%.
L’inflazione farà aumentare le disuguaglianze poiché «la riduzione del potere d’acquisto è particolarmente marcata proprio tra le famiglie con forti vincoli di bilancio» osserva l’Istat.
Tra le famiglie in difficoltà ci sono quelle, circa 1,9 milioni, in cui l’unico componente occupato è un lavoratore non-standard, cioè a tempo determinato, collaboratore o in part-time involontario.


A pochi giorni dalla pubblicazione del Rapporto Istat è arrivato il XXI Rapporto annuale dell’Inps, presentato dal presidente Pasquale Tridico alla Camera e liberamente consultabile sul sito web dell’Istituto di previdenza.
Dal Rapporto emergono spunti di grande interesse, utili a sfatare la vulgata corrente su alcune questioni, ma ci torneremo. Prima c’è da guardare negli occhi una realtà insopportabile che riguarda lavoro e pensioni.

Lavoro è povertà
Oltre 3 milioni di lavoratori percepiscono meno di 9 euro lordi l’ora. In percentuale, il 23% dei lavoratori percepisce meno di 780 euro al mese.
«Precarietà e bassi salari sono una questione prioritaria e di dignità, da affrontare immediatamente – ha spiegato il presidente dell’Inps –. Guardando alle retribuzioni annuali, per esempio, sono lavorativamente poveri il 64,5% degli addetti negli alberghi e ristoranti, a fronte di meno del 5% nel settore finanziario. Occorre quindi cercare di introdurre correttivi che portino a una ricomposizione della prestazione lavorativa, definendo delle griglie di regimi d’orario che aiutino le persone a conseguire un reddito dignitoso».
«La diseguaglianza nei redditi, oltre che essere aumentata, è pervasiva e attraversa tutte le dimensioni di genere, di età, di cittadinanza, di territorio. Essa origina anche dal moltiplicarsi delle forme contrattuali, oggi pari a ben 1.011: troppe e spesso non rappresentative». «In questo contesto emergenziale – ha proseguito Tridico – l’intervento dello Stato ha dimostrato tutta la sua importanza nella distribuzione del rischio, nella difesa della coesione sociale e nella protezione dei più deboli. Due – ha spiegato – sono stati i principi di fondo: quello universalistico, secondo il quale tutte le diverse categorie di cittadini dovevano ricevere sostegno dallo Stato, e il principio della tempestività, secondo il quale la risposta andava attivata in tempi brevissimi e modalità semplificate».
Le misure hanno in larghissima parte funzionato – ha osservato Tridico –, evitando che l’impatto sulla riduzione dei redditi a causa della crisi pandemica fosse del 55% maggiore.

Pensioni e “generazione X”
L’altro dato che desta preoccupazione è quello che riguarda le pensioni.
Nel nostro Paese il 32% dei pensionati (pari a oltre cinque milioni di persone) percepisce meno di mille euro al mese. A spaventare è anche la proiezione realizzata dall’Istituto sui futuri pensionati: la cosiddetta generazione X, ovvero i nati tra il 1965 e il 1980, con 30 anni di contributi versati e un salario di nove euro all’ora, arriverà ad ottenere a 65 anni una pensione di circa 750 euro. Per questo «occorre intervenire più tempestivamente sulle contribuzioni correnti – ha detto Tridico: In sintesi, abbiamo bisogno di più lavoro e di lavoro meglio retribuito se vogliamo assicurare al Paese la sostenibilità del suo sistema di welfare. Numerosi studi vengono a sostegno di questa affermazione: da ultimo, il premio Nobel dell’economia nel 2021, David Card, che ha dimostrato che quando i salari sono troppo bassi, un loro innalzamento comporta un aumento e non una riduzione dell’occupazione.
Per l’equilibrio del sistema previdenziale, occorre garantire la sostenibilità della spesa ma anche l’allargamento della base contributiva sia in termini di recupero del sommerso che di incremento della massa retributiva per i lavoratori regolari».
Ciò che spesso si dimentica è che il sistema ha bisogno anche di persone che coprano i posti di lavoro non sostituiti a causa dell’invecchiamento della popolazione. Per questo è necessario un sostegno alla natalità oppure, come suggerisce Tridico, programmare la regolarizzazione di nuovi cittadini. Preoccupano poi i dati relativi alle donne: sono il 52% del totale dei pensionati in Italia (8,3 milioni dei 16 totali), ma percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici.
Il reddito medio degli uomini è del 37% superiore a quello delle donne. Tra i problemi da affrontare, infatti, anche quello del salario medio delle donne, invariato rispetto agli anni scorsi e quindi ancora inferiore del 25% rispetto alla retribuzione maschile.

Assegno unico e Rdc
Una ampia parte del Rapporto si concentra sulle misure di sostegno ai redditi a partire dal nuovo Assegno unico Universale: a giugno sono state registrate domande di Assegno per 9,1 milioni di figli. Al dato vanno aggiunti i 530mila bambini di nuclei percettori di Reddito di cittadinanza. La platea complessiva è di 11 milioni.
Tra le forme di tutela, oltre agli ammortizzatori sociali in caso di sospensione del rapporto di lavoro, un focus è dedicato al Reddito di cittadinanza (Rdc).
Dalla sua introduzione il Rdc ha raggiunto 2,2 milioni di nuclei familiari, pari a circa 4,8 milioni di persone. L’erogazione complessiva sinora è stata di quasi 23 miliardi di euro, per un importo medio mensile (dati di marzo 2022) pari a 548 euro per nucleo familiare. A proposito di questa misura il Rapporto Inps aiuta, come si diceva all’inizio, a sfatare alcune convinzioni entrate nel gergo corrente. Ad esempio: chi percepisce il Rdc non ha voglia di lavorare. Secondo i dati dell’Inps solo il 30% circa di chi prende l’assegno è abile al lavoro e ha avuto una esperienza lavorativa negli ultimi tre anni. Ciò che non si dice è che in questo tempo ha avuto uno stipendio inferiore alla media e sempre più ridotto, anche come orario, e per questo ha chiesto il Reddito.
L’Inps ha poi sottolineato come si sia molto discusso del costo del reddito di cittadinanza. In realtà il Rdc nel solo 2021 è costato 8 miliardi, nello stesso periodo le agevolazioni contributive per le aziende hanno raggiunto la cifra di 20 miliardi.
A occhio sembra di intuire dove sia più giusto intervenire. 

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