26 Novembre 2024
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Una crisi di queste proporzioni non si era mai vista, è quella che attraversa il mercato immobiliare con numeri che spaventano. Ma non è che lo specchio di una crisi generale che attanaglia la fu Atene sarda, una crisi sociale, di comunità, che si vive nelle famiglie, nel lavoro, nella politica. A condividere una riflessione sulla base della propria esperienza ultratrentennale è Gianfranco Dui. Agente immobiliare dell’omonima agenzia a gestione familiare, opera principalmente in città offrendo servizi di mediazione, locazione, vendita, cessioni d’azienda – evento questo sempre più raro -, mercato agricolo.
Per comprendere il momento che la città sta attraversando è bene partire da un dato, quello demografico: attualmente Nuoro conta 33200 abitanti. «La fascia di popolazione che manca o che ha abbandonato la città – sottolinea Dui – è proprio quella produttiva o che avrebbe dovuto produrre reddito. La mancanza di lavoro per giovani e meno giovani, perché c’è anche chi il lavoro lo perde oltre a chi non lo ha mai trovato, porta al congelamento del mercato immobiliare. Chi non lavora non può permettersi di comprare una casa».
Attualmente gli appartamenti ad uso abitativo invenduti a Nuoro e quindi sul mercato – ci informa l’agente – sono oltre 500. «Nelle nostre banche dati non si è mai visto un dato del genere, è un numero che spaventa. L’offerta è decisamente superiore alla domanda».
Questo da cosa dipende a vostro avviso?
«Principalmente dalla mancanza di lavoro. Chi entra nel mondo del lavoro, poi, lo fa in un’età sempre più alta. Mentre vent’anni fa si presentava da noi il trentenne, adesso il cliente tipo va dai 45 ai 55 anni, questo significa avere un mutuo sulle spalle fino ai settant’anni. Capite bene che stanno molto attenti prima di acquistare una casa. Le famiglie sono in crisi, su dieci case visitate ne mettiamo in vendita due. Anche i tempi di conclusione sono sempre più lunghi, prima della crisi un immobile poteva stare sul mercato quattro mesi, ora anche 8-12 mesi e la percentuale di invenduto è preoccupante».
È anche una questione di costi degli immobili?
«No, in questo momento abbiamo raggiunto i minimi storici. Penso sia una leggenda metropolitana quella che circola sui prezzi delle case in città».
Le case sul mercato sono nuove?
«Per la maggior parte no».
Al costo va aggiunto l’onere della ristrutturazione, questo scoraggia gli acquirenti.
«Abbiamo un’edilizia vetusta ma il mercato si è adeguato con un calo drastico per agevolare questi acquisti. Se un appartamento ad uso abitativo da ristrutturare interamente dieci anni fa veniva compravenduto a 1250 euro al metro quadro ora si scende fino a 700. Attualmente il costo varia dai 750 euro al metro quadro per l’usato da ristrutturare fino ai 1800/2000 euro al metro quadro per il nuovo. Mi permetto di aggiungere due ulteriori aspetti per completare il quadro. Il primo, rispetto al passato non ci sono zone nelle quali non vi siano offerte. Il secondo: chi ha una seconda casa da mettere a reddito l’ha messa sul mercato sia perché la rendita dell’affitto non è sempre garantita sia per le imposte che gravano su di esse, che si aggiungono ai costi di manutenzione. Tutti questi fattori hanno portato alla superofferta, allo scompenso di cui dicevamo».
Ci sono zone della città che soffrono meno? Penso a via don Bosco ad esempio.
«Il fenomeno è generalizzato, nelle zone di espansione c’è poca crisi per quello che si chiama “uso diverso”, vale a dire i negozi, il terziario in generale. Si tratta di zone che rispondono alle esigenze delle attuali richieste, risparmio energetico, spazi, parcheggi, logistica, strade larghe».
Ma ha senso oggi che un impresario costruisca un nuovo palazzo?
«Ha senso perché soprattutto nelle zone di espansione le operazioni vanno a buon fine grazie ai locali commerciali. Poi sono costretti a completare il volume con il residenziale per cui un invenduto è da mettere in conto. Esaurite quelle cubature però non so dove si potrebbe andare, per approvare una lottizzazione a Nuoro ci vogliono almeno vent’anni».
Negli ultimi anni molti nuoresi hanno scelto di andare a vivere nei paesi vicini.
«C’è questo fenomeno, attenzione però non si tratta di costi ma di qualità della vita. I nostri clienti ci dicono che si sta meglio nei paesi che in città, nei piccoli centri resiste il welfare classico, ci sono le famiglie più unite, i nonni che aiutano con le pensioni, c’è ancora il reddito della campagna. Poi sono sempre più i pensionati che vanno fuori e raggiungono i figli fuori dalla Sardegna o vanno nei loro paesi d’origine. Anche le pensioni diventano redditi che non circolano».
Per quanto riguarda gli affitti?
«Posso dirle che l’offerta è bassissima rispetto alla domanda. Anche per questo tanti hanno ripiegato all’affitto nei paesi, molti professionisti o medici sono andati a vivere altrove perché non hanno trovato l’appartamento in affitto. È difficilissimo che il trasfertista classico trovi un appartamento in affitto a canoni calmierati perché i pochi appartamenti disponibili hanno costi altissimi dovuti allo scompenso tra offerta e domanda».
Per contro continuano a crescere i centri costieri.
«Lì il mercato è in piena espansione, arrivano anche le grandi aziende di franchising. Tante stanno decidendo di trasferirsi in questi centri, perché c’è il lavoro. Una compravendita immobiliare smuove un indotto importantissimo, lavorano i tecnici, le agenzie immobiliari, le maestranze, muratori, elettricisti, commercianti d’arredo. Il Pil cresce soprattutto per l’immobiliare. Poi c’è l’industria, ma non è certo la nostra vocazione, basti guardare la zona industriale di Prato Sardo che è priva di logistica. Come può un imprenditore venire a investire? Anche quello è un sintomo di abbandono».
Va anche detto anche che la città è cresciuta in modo disordinato, certamente paghiamo scelte fatte in passato. Come non citare poi il fenomeno dell’abusivismo.
«Non c’è dubbio, ma i piani regolatori spesso non hanno seguito indicazioni tecniche razionali. La città dovrebbe svilupparsi nelle aree dove costa meno urbanizzare, spesso invece siamo andati in zone nelle quali costava di più».
Ma si tratta di scelte politiche.
«Certamente. Un’altra colpa che possiamo additare a quelle scelte è l’abbandono del centro storico. Oggi recuperare il centro è difficilissimo, prima di tutto a cause delle norme, è diventato un problema burocratico prima che economico. La percentuale di diniego è altissima e spaventa gli acquirenti. Contando che non c’è nessun tipo di defiscalizzazione, acquistare al centro storico costa come acquistare altrove e questo non è giusto. Andava invece incentivato fiscalmente con piani particolareggiati, imponendo anche l’aliquota all’1%. Questo è possibile, se si vuole, vanno chieste le deroghe alla Regione ma sono cose che non sono mai state fatte. E qui di nuovo è un discorso più ampio, di autorevolezza politica».
Cosa si può fare per uscire da questa situazione?
«Intanto manca una cosa fondamentale che è la capacità di mettersi insieme, o si capisce che dobbiamo unirci per essere più forti o non andiamo più da nessuna parte. È un nostro male storico, tutti siamo in qualche modo colpevoli dell’andamento generale, non c’è dubbio. Però abbiamo bisogno di una guida. Chiediamoci: dove va la città? Abbiamo una visione generale? Dobbiamo investire sul folklore fine a se stesso o sulla cultura?».
E come possiamo se anche l’Università è commissariata?
«Vorrei però che a prevalere fosse la proposta, a partire da ciò che abbiamo. Abbiamo di bello l’ambiente, la qualità della vita, la vicinanza al mare, paradossalmente i costi bassi degli mobili potrebbero aiutare la città a riprendersi, però torniamo al punto di partenza, senza lavoro è impossibile. Per questo occorre che l’ambiente impagabile e le nostre eccellenze possano essere messi a regime e produrre reddito. L’ambientalismo fine a se stesso e i vincoli eccessivi sono in contrapposizione con le attività antropiche e con quelle economiche. L’ambiente va tutelato ma il territorio va reso appetibile, basti guardare a quello che hanno fatto paesi vicini con le reti escursionistiche o con l’enogastronomia. Un’altra soluzione possibile è quella della zona franca fiscale. Occorre un “Piano Marshall” per la città, Nuoro soffre più dei paesi che hanno avuto la capacità di unirsi e andare avanti autonomamente».