“Nel Villaggio Elettronico, ogni uomo è Socrate all’altro uomo” (Michelangelo Pira, 1970)
di Antonella Fancello

20 Novembre 2021

19' di lettura

Partiamo dai ringraziamenti: parlare, in una ricorrenza storica ad una platea così importante di un nostro conterraneo che oltre 50 anni fa aveva già capito tutto della rivoluzione digitale, senza averla lui stesso e in prima persona, vissuta, è per me un grande onore ed un privilegio. Il “libercolo” che ho in mano ha come titolo Il villaggio elettronico, lo chiamo proprio “libercolo” perché composto da poco più di 50 pagine che neppure l’autore stesso ha potuto toccare con mano, edito con una copertina ed un titolo che non fu lui a dare; queste pagine sono state infatti pubblicate postume a quasi 20 anni dalla sua morte (come in realtà accaduto per molte delle sue opere più importanti, Sos Sinnos, Isalle) dalla famiglia di Michelangelo Pira nel 1997, l’anno in cui si celebrava il successo di un altro nostro conterraneo e della sua creazione tecnologica, la rete Tiscali che avrebbe raggiunto gratuitamente tutti i cittadini (“Il sogno del villaggio elettronico di Michelangelo Pira finalmente si compie” disse Renato Soru); pagine scoperte e riesumate da un cassetto di appunti, lette e riproposte ai lettori con lo stesso stupore con il quale noi aggi ancora ci meravigliamo di quel racconto, nel quale i suoi familiari per primi intravidero quella che non a caso fu definita una autentica profezia rispetto a quanto il mondo dei calcolatori collegati in una rete globale avrebbe cambiato la vita delle persone. Quello scrigno di appunti conteneva come capitolo integrante di un ricco libro, rimasto in gran parte inedito, intitolato “Scuola e rivoluzione”, una serie di riflessioni sul sistema educativo italiano (in un eterno conflitto tra scuola “propria” ed “impropria” come la definiva Pira, denunciando ad ogni occasione la discriminazione subita in prima persona da lui e dai bambini sardi del suo tempo che per il solo fatto di non potersi esprimere in classe attraverso la lingua madre, il sardo, venivano bacchettati e puniti); ecco lui pensava che il modo di impartire le lezioni ai ragazzi avrebbe potuto subire uno scossone, un’autentica rivoluzione (ecco perchè “Scuola e rivoluzione”), un cambiamento significativo ed un innalzamento di valore attraverso la comunicazione elettronica, che lui definiva “comunicazione totale” non calata dall’alto verso il basso ma risultato di quel processo che grazie alla rete la migliorava di continuo generando nuovo valore e raggiungendo orizzontalmente tutti. Sono andata a rileggermi gli atti del convegno che nel dicembre del 2001 si tenne a Bitti proprio per celebrare sia “la profezia” che la sua realizzazione: Michelangelo Pira e Renato Soru. Con un parterre pregiato di intellettuali e studiosi di antropologia culturale della Sardegna di quel tempo di indiscussa caratura, Manlio Brigaglia, Bachisio Bandinu, Natalino Piras, lo stesso Renato Soru, presenti l’allora Sindaco di Nuoro Mario Zidda oltre he la moglie ed il figlio di Pira, rileggendo nella cronaca di quella giornata di studi l’enfasi con la quale rimarcavano la modernità di un pensiero che aveva visto la luce 30 anni prima, in realtà mi sono resa conto che molte delle cose che Pira raccontava nei suoi appunti, nel 2001, anno del convegno, non erano ancora accadute: non esistevano ancora i social network, non la pervasività di quel web 2.0 che ha generato interazione continua “online”, non la didattica a distanza i cui pregi sbalorditivamente Pira consegna ai posteri in quel “libercolo”. Solamente oggi nel 2021 (e chissà cosa accadrà quando lo rileggeremo tra qualche anno consci del fatto che tante cose nel vero “villaggio elettronico” devono ancora accadere!), possiamo essere davvero stupiti per quanto magistralmente descritto in quelle pagine come se Pira stesse vivendo il nostro tempo, quello in corso, in prima persona nel 1970; cosa che non è mai accaduta perché, ricordiamolo, Michelagelo Pira muore nel 1980 quando il World Wide Web, la ragnatela di ipertesti che avvolge il mondo e che grazie al CERN di Ginevra ci ha aperto le porte della “conoscenza universale”, non era ancora nato.   Mi sono scritta il titolo dell’evento di oggi perché Michelangelo Pira c’è dentro in ogni sua declinazione, “Giornali, radio e tv, le sfide della comunicazione nell’era digitale”: era un giornalista, era collega di tutti voi, scrisse sia sulle pagine de La Nuova Sardegna che su quelle de L’Unione Sarda; fu addetto stampa del Consiglio Regionale della Sardegna, fu uno dei protagonisti di Radio Sardegna e realizzò per il Terzo canale RAI una serie di documentari che raccontavano il disagio e le difficoltà delle popolazioni barbaricine dell’entroterra sardo, ciò che a lui stava particolarmente a cuore, poiché i giornali, la radio, la televisione che a un certo punto, vedremo, lo leggerò, non bastavano più, avevano bisogno di un nuovo mezzo che avrebbe portato alla “comunicazione totale” che secondo lui poteva essere generata solo dalla rete internet dove c’era sempre una domanda e una risposta, ciò che in qualche modo la radio e la televisione e i giornali fino a quel momento non avevano saputo dare. I mezzi di comunicazione, tutti, servivano per Michelangelo Pira per diffondere la cultura sarda e la lingua sarda in particolare con tutti i suoi problemi che a lui stavano particolarmente a cuore. Ricordiamo che nasce a Bitti, un piccolo centro della Barbagia, nel 1928, diviene orfano di madre molto presto e per questo motivo è costretto ad andare a vivere a Oschiri dove suo padre fa il pastore. Consegue la maturità classica a Sassari all’Azuni e poi si laurea in lettere a Cagliari dove in realtà rimane e muore molto precocemente, a soli 52 anni, a Marina di Capitana nella sua casa colonica alla periferia di Cagliari, perché lui amava vivere nella campagna e vedeva nella rete proprio quella modalità attraverso la quale poter comunicare dalla campagna verso l’esterno senza necessariamente dover subire tutte le storture o la schiavitù (come la definiva lui) della vita cittadina, che non amava. È Docente di “storia del giornalismo” e di “antropologia culturale” alla Facoltà di Scienze Politiche di Cagliari, milita nel Partito Sardo D’Azione ed è soprattutto un uomo che ha studiato e sperimentato la comunicazione a tutto tondo, indagando tra i primi quel tipo di comunicazione che più avanti ci avrebbe coinvolti tutti attraverso la diffusione e la pervasività della rete internet, facendo le sue riflessioni ragionate quando nessuno di noi, nessuno dei suoi conterranei contemporanei, poteva minimamente immaginare cosa stava accadendo dall’altra parte del mondo con la scoperta di internet e che ripercussioni avrebbe avuto sulla storia di tutti. Non la chiamo “profezia” come è stata chiamata spesso perché una profezia, penso io, è di colui che legge nei fondi del caffè affidandosi alla magia, lui era uno studioso, era un visionario, questo sì: lui stava studiando in quel momento quello che stava accadendo negli Stati Uniti alla fine degli anni sessanta quando gli hippies, una parte di loro protestavano per la guerra in Vietnam, una parte vivevano nelle comuni, due su dieci di loro erano rinchiusi nei garage a creare videogiochi, sperimentare la rete e nuovi modi di comunicare come Michelangelo Pira faceva in campagna, ecco, lui era curioso e leggeva di ciò che facevano quei due che sperimentavano nuove modalità di interazione che sarebbero servite per Pira alle popolazioni della Sardegna per raccontare se stesse e per raggiungere tutti nel realizzare quella che lui chiamava “comunicazione totale”, non più, e qui cito le sue parole, calate dall’alto verso il basso, proprie della “cultura guthenberghiana”, e qui mi riallaccio a quello che ha detto poco fa il Dottor Birocchi: Pira sapeva molto bene che nella storia della comunicazione la prima rivoluzione fu quella della scoperta della scrittura, la seconda quella della carta stampata la terza, per lui, ma non solo per lui poiché anche per Rita Levi Montalcini che la indicò come la “scoperta del secolo”, fu internet, proprio perché intravedevano nella rete quella modalità di comunicare e di diffusione della conoscenza orizzontale, rivolta e arricchita da tutti. Ma qual è la vera profezia, un piccolo pezzetto di profezia c’è nel suo racconto: intanto vi devo dire che  purtroppo questo testo non è stato più ristampato ed è quindi introvabile, il mio sogno è che venga letto e  donato nelle scuole perché ogni anno io lo rileggo e mi appiglio a contenuti diversi che lui scrisse e che hanno molta attinenza con quello che sta capitando in quel preciso istante: qui dentro c’è descritto il valore della didattica a distanza e io questa cosa non l’avevo scoperta, non l’avevo carpita prima, ecco perché dico che quando nel 2001 hanno fatto il convegno a Bitti tante cose non erano accadute. È oggi che si capisce veramente che lui aveva capito tutto. Tanti i passaggi emblematici dove nel 1970 viene servito su un piatto d’argento il racconto del mondo del 2021: quando Pira descrive cosa accadrà in un pianeta in cui la moneta potrebbe non contare più poiché si commercerà con le criptovalute, anticipando i Bit Coin pur non chiamandoli in questo modo; quando descrive “la paura dei computer” che il “sistema” cerca di instillare nei cittadini: è nella malvagità dell’uomo che utilizza le macchine il pericolo, non nelle macchine in se che non hanno un’anima, ci dice; così come è in chi ha qualcosa da nascondere il problema della privacy o nella concentrazione dell’informazione, lì sta il pericolo vero. Interessantissimo il passo in cui lui racconta quanto fosse stato importante finalmente per tutti coloro che hanno vissuto con la rete, dialogare simultaneamente con persone che stavano dall’altra parte del mondo anziché comunicare solo per posta; sottolinea il valore che per gli anziani avrebbe potuto avere il poter comunicare con tutti, anche coloro che stanno lontani (pensiamo a quanto accaduto con la pandemia e a quanto gli anziani abbiano potuto beneficiare delle tecnologie per poter comunicare con i propri parenti che non potevano fisicamente incontrare): stava esattamente descrivendo quello che accade oggi quando ci colleghiamo ad una riunione via web conference con uno smartphone o quando dobbiamo parlare con un figlio o un nipote che sta studiando dall’altra parte del mondo e lui raccontava qualcosa che non era ancora accaduto da studioso della comunicazione che aveva intravisto quali sarebbero stati i benefici di questa rivoluzione, antesignano di riflessioni che fanno i filosofi del presente. Avantieri c’era a Oristano Luciano Floridi , considerato in questo momento uno dei più insigni studiosi e teorici dell’infosfera (come lui chiama, in modo diverso, ciò che altro non è che il villaggio elettronico teorizzato da Pira): ascoltando e leggendo Floridi, filosofo e docente ad Oxford di etica dell’informazione, io ho ritrovato moltissimo del pensiero di Michelangelo Pira solo che Floridi lo racconta in vita sperimentando per davvero la rete e tutte le implicazioni, etiche, antropologiche, sociali ed economiche che ne scaturiscono dal suo utilizzo, Michelangelo Pira ha solo intuito grazie ai suoi studi qualcosa che poi si è veramente e compiutamente realizzato. Cosa fece per imbastire la trama del suo racconto “futuribile” come lui stesso lo chiama: immagina una scena in cui Martino, vecchio 96enne, in punto di morte, raccoglie al suo capezzale conoscenti e nipoti ai quali racconta il valore e l’importanza che lascia in eredità il suo aver partecipato e fortemente voluto la costituzione di una nuova società resa migliore da una rete planetaria di calcolatori. Racconterà, Martino, quanto è stato bello scoprire la rete internet, quanto è cambiata la sua vita e quella dei suoi amici dal momento in cui hanno cominciato a comunicare attraverso la cosiddetta “comunicazione totale che migliora comunicando”. Ecco, mentre leggerò i suoi passi o mentre vi capiterà di leggere il libro, dovrete in continuazione sforzarvi di ricordare che è stato iscritto nel 1970 quando la rete internet non esisteva. Tanto per capirci, la rete internet nasce come progetto del Dipartimento di Difesa americana alla fine degli anni ’60 ed è un progetto che si sono tenuti dentro il cassetto per quasi 30 anni perché solo nel 1990 Tim Berners Lee, ne dava notizia al mondo, dal CERN di Ginevra, negli stessi giorni,  questo diciamolo, in cui i due Consiglieri regionali sardi Cabras e Mannoni, mandati al CERN dall’allora Presidente della Regione Mario Melis andarono a chiedere al Premio Nobel Rubbia di dirigere il CrS4, in un tempo straordinario in cui Cagliari diventa il centro del mondo con il Dalai Lama e Gorbaciov che la raggiungono in visita poiché è a Cagliari che si sperimentava per la prima volta l’accesso ad Internet attraverso Video OnLine che per la prima volta avrebbe fatto navigare l’intero nostro Paese; ha sede a Cagliari allora quello stesso mondo di visionari che fece sì che il quotidiano L’Unione Sarda fosse il primo quotidiano on line, secondo al mondo solo al Washington Post in quel momento; e, per rimanere nel mondo della radio, fu “Radio X” la prima web radio italiana, ed era cagliaritana così come fu di Cagliari, la prima scuola italiana connessa alla rete internet, il Liceo Alberti. Insomma internet e in generale la ricerca, da isolani, di una comunicazione efficace ce l’abbiamo un po’ nel nostro DNA, siamo un po’ tutti figli di Michelangelo Pira solo che noi stiamo sperimentando la vita sempre più “on life”, come la chiama il filosofo Luciano Fioridi, cioè la vita che sta diventando prevalentemente “on line”, vivendo ciò che Pira poteva solo immaginare con una intuizione ed una saggezza tale proprie del più autentico dei visionari che sanno “prevedere il futuro” attraverso la scienza e la sapienza. C’è un momento straordinario del racconto in cui Martino morente dice “me ne posso andare tranquillo” perché adesso c’è la rete di calcolatori quindi potete finalmente comunicare come io non ho potuto per un lungo tratto della mia esistenza e chiude con una frase che secondo me è proprio il suo testamento spirituale perchè dice che nel villaggio elettronico “ogni uomo è Socrate all’altro uomo” che significa che la rete è uno spazio in cui ci sarà sempre qualcuno che può controbattere e ricordarti che non sai, ricordarti di non sapere, uno spazio aperto in cui chiunque si può confrontare con l’altro e dire la propria. Cosa non aveva immaginato Pira ma non l’aveva immaginato neanche Tim Berners Lee quando inventò la rete: che poi della rete si sarebbero impossessati i colossi dell’informazione, le big companies americane che avrebbero usato la rete per propri scopi commerciali e non; siamo arrivati in ritardo sul fatto che quella rete che era e rimane una scoperta straordinaria, terza tappa della storia della comunicazione, andava presidiata, regolamentata prima, forse adesso è un po’ tardi, l’Unione Europea ci sta pensando e anche con dei provvedimenti abbastanza importanti però forse arriviamo tardi rispetto al fatto che quell’informazione in questo momento sia un già po’ troppo concentrata. È stato per primo Obama nel 2016, abbastanza recentemente, a liberalizzare i nodi della rete localizzati prevalentemente negli Stati Uniti, perché fino al 2016, il Presidente degli Stati Uniti se voleva poteva “chiudere l’acqua” della rete alla Germania piuttosto che all’Italia e non c’era alcuna regola che glielo impedisse. Ecco probabilmente ciò che non ha previsto Pira, anche se in qualche modo lo dice quando afferma con convinzione che “ il rischio non è nelle macchine ma negli uomini che li utilizzano”, è che la struttura che si sarebbe generata con l’utilizzo e lo sfruttamento della rete da parte delle big companies che avevano degli interessi effettivi nel monopolizzarla approfittando di un contesto generale normativo ancora impreparato e incerto, avrebbe generato una pericolosa concentrazione di potere, quella sulla quale i nostri governi democratici, l’Unione Europea in primis, sono tutti chiamati in questo momento a fare ciascuno la propria parte, ed è della tenuta dei nostri ordinamenti democratici, ciò di cui stiamo parlando. © riproduzione riservata

Michelangelo Pira

  • Pezzi tratti dal Villaggio Elettronico

I pensieri ultimi di Martino, novantenne, padre fondatore di una nuova societàche ha collegato i computer in una rete planetaria. La mia candela è alla fine. Siete qui per vedere come muore uno dei padri fondatori della comunità. Quando non si può più comunicare è facile morire … io ho vissuto nella misura in cui ho comunicato, si vive in quanto si comunica, questo è essere uomini, altrimenti si è vegetale, ma che dico, una pietra. C’era il capitalismo, la schiavitù la comunicazione solo dall’alto verso il basso; c’era l’affannarsi dietro a mille bandiere balorde: il prestigio, il denaro. C’erano tra uomo e uomo tante barriere, muri spessi, impenetrabili, duri. E noi insieme li abbiamo fatti cadere con la comunicazione che migliora comunicando. A questo abbiamo mirato quando quelli che voi ora chiamate i padri fondatoriabbiamo preso a lavorare alla nuova società: a ristrutturare l’umanità. … ci saremmo fatti la “nostra università” non mediata dai mezzi guthemberghiani. Scrissi anche un libro per combattere la “cultura tipografica” … con la pretesa di diffondere un contro messaggio, ma servì soltanto a rafforzare in me stesso l’idea dell’inutilità di affidare i propri messaggi alla stampa e di estendere le aree della COMUNICAZIONE TOTALE. Consapevolmente o inconsapevolmente ognuno cercava di comunicare al maggior numero possibile di suoi simili i propri pensieri e le esperienze dei propri viaggi, ma la parola parlata non bastava, il cinema non bastava, la radio non bastava, i telefoni non bastavano, le scuole non bastavano. Ciascuno si considerava un terminale ma non esisteva un sistema nervoso centrale… perché ogni estensione aveva il proprio cervello in contrasto con quelli delle altre. Così l’elettronica e la scienza della comunicazione cominciarono ad incontrarsi e a cercare terreni comuni di applicazione e di implosione e a formare nuove scienze. Noi eravamo una risposta definitiva alla paura umana della felicità… non passava giorno che non si costruissero nuovi calcolatori e che ad essi non collegassero nuovi terminali e che i calcolatori non si collegassero tra di loro. Il sistemariuscì a rallentare questo processo diffondendo “la paura del computer”cioè cercando di trasferire le sue paure nei cittadini che dovevano beneficiarne. Si arriva a definire eccessiva la sapienza dei calcolatori e pericolosa per la privacy. Ma (riferito ai computer e alla rete) doveva averne paura la malvagità dell’uomo, non la sua bontà. Dove si raccoglie l’informazione lì c’è il potere e la concentrazione dell’informazione è pericolosa. Il calcolatore metteva l’informazione a disposizione di tutti. Questa era rivoluzionaria. La paura era solo in chi aveva tante cose da nascondere agli altri: a chi serviva nascondere i dati su tasse, mutui, congedi militari, permessi di caccia, certificati penali. Già nel 1970 si scriveva che la macchina elettronica può svolgere il lavoro di tutte le biblioteche del mondo è di tutte le scuole; può guidare le automobili, i treni, gli autobus e gli aerei; può sostituire ragionieri e finanzieri; può far sparire dalla faccia della terra ogni moneta liquida; può far funzionare autonomamente le linee di montaggio di qualsiasi fabbrica e controllare e correggere i difetti di qualsiasi prodotto può anche gestire la contabilità di una nazione intera e dirigere l’economia domestica e il lavoro casalingo. Si opponevano al computer dunque ragionieri e finanzieri e tutti coloro che avevano usurpato alla comunità il controllo della informazione e della comunicazione. Il momento più grande fu quandoinstallammo nella casa colonica il terminale del computer dell’Università di Cagliari, a sua volta collegato con quello di Roma, a sua volta collegato con la rete mondiale. Ci fu gran festa, i ragazzi si buttarono a imparare il cinese, chi il giapponese, chi microbiologia, chi fisica e tecnica e ciascuno segnalava gli errori che trovava. Nell’ambito di questa nuova struttura, lentamente, anche i più anziani, abbiamo ripreso il gusto della parola e degli eventi. Avere tanti amici e tanto lontani nello spazio ma potersi riunire come se si fosse vicini di casaè una cosa che ancora mi riempie di una meraviglia e di uno stupore incomprensibili a chi come voi non ha conosciuto i tempi in cui la comunicazione a distanza avveniva solo per posta. Ma ora ragazzi, io me ne posso andare tranquillo, nella nuova società ognuno può mettersi in comunicazione con chi vuole e imparare tutto quel che gli piace, imparare a fare quello che vuole. Il nuovo sistema nervoso centrale ha trasformato il pianeta in un immenso villaggio elettronico. Ogni uomo è Socrate all’altro uomo.

Michelangelo Pira – 1970

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