Maria Antonietta Piga, il sapere in dono
di Franco Colomo

22 Gennaio 2021

5' di lettura

Come il padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose antiche e cose nuove, anche un figlio, sollecitato a ricordare la madre recentemente scomparsa, aprendo lo scrigno del proprio cuore vi trova ricordi preziosi, ma anche gemme inaspettate, che affiorano nel semplice conversare intorno a una figura tanto importante e dalle quali scaturiscono intuizioni per la futura memoria. È quanto è accaduto nell’accostarci alla figura di Maria Antonietta Piga Martini provando a ricostruirne un ritratto più intimo grazie alla disponibilità del figlio Enrico. Donna, madre, studiosa, un diamante dalle molteplici sfaccettature, gemma rara – per restare nella metafora evangelica – nel panorama culturale sardo e nuorese in particolare, sua città alla quale stava dedicando l’ultima fatica letteraria, una Storia di Nuoro che non è ancora giunta alle stampe ma che ci verrà regalata, è sicuro, come preziosa eredità. Impossibile racchiudere nello spazio di un articolo la ricchezza di questa singolare personalità, bastino qui alcune parole-chiave a richiamarne i tratti principali. La prima è dono, sì, perché Maria Antonietta Piga (nuorese, orgogliosa sia dei natali santupredini che delle origini dorgalesi) è stata innanzitutto una “trasferitrice” di sapere – “sacerdotessa dell’humanitas” l’hanno definita i t figli – insegnante già a diciotto anni (la prima supplenza al Classico) di ragazzi diciannovenni. Lei nata nel 1933 ha saputo accompagnare generazioni di ragazzi, da quelli nati negli anni Trenta sino a quelli dei primissimi Ottanta. Un sapere, il suo, coltivato grazie a uno studio ininterrotto, «leggeva continuamente con una incredibile capacità di concentrazione – ricorda Enrico – e questa conoscenza trasferiva con leggerezza. Allo stesso tempo, era in continua evoluzione: lungi dall’indulgere, con l’età, nella sterile nostalgia del passato – sottolinea il figlio – lei traeva, donando, linfa dai giovani, capace di connettersi adlibitum con le nuove generazioni. I saperi in lei non erano mai cristallizzati, era sempre assetata di novità e di approfondimenti. Di fronte ad un mio quesito etimologico, per esempio, quando non poteva soddisfarlo compiutamente s’immergeva immediatamente nei suoi, per noi figli, “magici” tomi di riferimento dai quali traevamo insieme materia di ulteriore arricchimento. Era sicurissima della sua scrittura, ma era sempre pronta a rimetterla in discussione. Anche per questo lavorare con lei ai suoi libri è stato straordinario e semplice allo stesso tempo. Di fronte a qualche mia eccezione o appunto (sfumature, perlopiù, non aveva bisogno di alcuna correzione) immediatamente sapeva pesare, grata, la qualità dell’indicazione. Per adottarla in caso positivo senza indugio alcuno». La seconda parola-chiave è luce, «era una fonte di luce assoluta – prosegue Enrico – per i propri figli come per gli alunni. Questo traspariva anche dalla sua eleganza, dal garbo e dalla finezza dei modi, dalla dolcezza come anche dalla musicalità, era affascinante e aveva una voce bellissima». Maria Antonietta Piga è stata profondamente cristiana, moglie e madre in una famiglia tradizionale. Ciò non ha velato il suo limpido sguardo di rigorosa storica allorquando, nella sua opera Quando eravamo Indios. I Sardi e la nuova evangelizzazione dell’Isola al tempo di Carlo V e Filippo II, si è trovata a dover render conto anche delle gravissime mancanze di cui la Chiesa e il clero si son macchiate in Sardegna, in quel periodo. Per questo fu doppiamente gratificante l’elogio, inatteso, ricevuto per lettera, del Santo Padre Papa Francesco, “per la scientificità dell’opera e per la ricchezza di notizie contenute”. Da ultimo, ma non per importanza, resta da sottolineare l’aspetto che la dice tutta sulla modernità di questa figura di donna e di donna di cultura: professoressa (anche all’università della Terza età), storica, dantista, scrittrice, animatrice di circoli culturali – è stata anche presidente della Fidapa – di Maria Antonietta Piga Martini rimane l’esempio di una donna capace di emanciparsi e di affermarsi in una società maschilista. «Con lei – ha scritto Enrico alle socie della Fidapa – avete condiviso l’impegno e il tempo profuso con passione nella valorizzazione della visione del mondo al femminile, nei secoli soffocata, e che ancora oggi, nel terzo millennio, fa fatica a darsi voce nello status quo in cui vige – al di là di una parità di facciata – un’atavica, strisciante – quando non proprio palese – discriminazione». Da qui è nato in Enrico e nelle sue sorelle (“le mie adorate figliole”, avrebbe detto, Patrizia, Fabiola e Luciana), il fermo proposito di dar vita a progetti, sotto l’egida o meno di una associazione o di una fondazione, che in nome di sua madre «incarnino etica, filantropia, aiuto ai giovani nel motivarli allo studio umanistico. Inteso, quest’ultimo, come imprescindibile strumento di libero pensiero critico e di emancipazione della singola persona umana». Un’ultima lezione-atto d’amore per la comunità sarda e nuorese. Da non perdere.

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