“La monedita del alma se pierde si no se da”
di Natalino Piras

2 Dicembre 2020

6' di lettura

È la prima volta che scrivo compiutamente di un’enciclica ma davanti a questa lettera di papa Francesco alla gente di tutto il mondo, a persone di buona volontà, come restare indifferenti? Dice il frontespizio dell’edizione Marsilio, ottobre 2020, che la propone: Francesco, Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale. Francesco, il nome del Pontefice come quello del principale ispiratore dell’enciclica, Francesco d’Assisi. Sono 253 pagine comprese quelle introduttive e quantomai illuminanti di Antonio Spadaro, direttore della “Civilità Cattolica”, prestigioso quindicinale dei gesuiti, l’ordine cui appartiene Jorge Mario Bergoglio. L’enciclica è suddivisa in otto capitoli, in tutto 286 paragrafi che raccolgono altre lettere, conferenze, videomessaggi, abstract, saggi, persino romanzi, interventi all’Angelus domenicale e quanto tesse la pastorale, e la prassi, del settennato, dal 13 marzo 2013, di Francesco. Un’enciclica che desta stupore per la capacità che ciascuno ha di riconoscersi nelle parole del Papa, in una scrittura che ricompone all’ascolto del cuore semplice quanto in realtà è complesso, in questo mondo dominato dal potere dell’apparenza che rafforza quello reale degli oligarchi, i ricchi del Capitale, e dei signori della guerra. In un mondo adesso contagiato dal Covid-19, la peste contemporanea, dove a farne le spese sono i più poveri, gli emarginati, gli ultimi degli ultimi, i migranti, lo straniero che scappa da altri luoghi di guerra e di fame, di odio religioso. Francesco, da subito, sta con gli ultimi e questa enciclica rafforza il suo progetto che è quello di costruire speranza – “la speranza è audace” sostiene Bergoglio – soprattutto insieme a loro. E con pari forza insieme a loro combattere l’ingiustizia, la fame, la guerra, quanto, nazioni e nazionalismi, fascismi, hanno come progetto politico: chiudere i porti, respingere le masse migratorie, imporre il proprio egoismo come visione del mondo. Questa enciclica ha la coerenza stilistica che l’intervento nel globale richiede. Ci sono dentro duemila anni di storia della Chiesa, dalle origini a Ireneo, a Agostino, a Tommaso d’Aquino della cui teologia che scende dall’intangibilità di Dio all’ascolto umano, Francesco dà significativa interpretazione: «Dall’intimo di ogni cuore, l’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro». Altrimenti non si è. Si resta portatori di individualismo, dentro la circuitazione, leggi FB, che altro non sente che il proprio narcisismo. Che tende sempre a escludere l’altro, il diverso da sé, dal proprio segno identitario. È nel circuito chiuso, l’oligarchia dei ricchi e le tante nazioni virtuali della Rete, che si alimenta e si rigenera ogni forma di violenza: di questo soprattutto, della violenza di ciechi e dei sordi, degli auto-parlanti, il potere ha bisogno per governare e sottomettere. Essere fratelli è tutta un’altra cosa, avverte Francesco. Richiede sapere guardare dentro se stessi e tirare fuori quanto può e deve essere donato all’altro, in spirito di condivisione. Viene in mente Antonio Pigliaru che nella sua organizzazione culturale, per uscire da tante ataviche e moderne chiusure, aveva come linea guida un distico di Antonio Machado: “La monedita del alma/se pierde si no se da”. Alma è questa enciclica, di forte capacità omiletica, nessun tema della contemporaneità escluso: la costruzione della pace e la pena di morte, il sistema delle banche e il recupero della frugalità, la vera paupertas, quale la si intendeva al tempo di Roma repubblicana, la velocità come autofagia e il dovere, nell’abbandono e nel paesaggio guasto, inquinato dal nucleare e dall’avanzare del deserto, di recuperare il senso del tempo: da vivere nella sua pienezza e non nello scarto. Tutto è detto in presenza, non da padre a figlio, non da maestro a discepolo, ma con grande spirito di fratellanza. Contro l’aggressività e in favore della gentilezza. Contro la xenofobia e in favore dello scambio. L’enciclica dice del valore del perdono che contrasta l’intolleranza e allontana il conflitto, nel proprio villaggio che sta dentro la foresta Amazzonica oppure, come termine di paragone, in Sa Libra, nel romanzo dei segni di Michelangelo Pira. Affine, come forza narrativa, al viaggio che da Cacodelphia, “parodia dell’Inferno dantesco” dice Spadaro, porta a Filadelfia, nel romanzo Adàn Buenosayres dell’argentino Leopoldo Marechal, molto apprezzato da Bergoglio. «Perdonare – dice Francesco quasi in chiusura di enciclica – non vuol dire permettere che continuino a calpestare la dignità propria e altrui». Il perdono è un’altra delle chiavi di riuscita del progetto che tiene Fratelli tutti. Ravviva il donaredel generoso come forza non come paura o sottomissione. Per comprendere questo mistero del perdono che viene dal profondo di un cuore semplice, Francesco, dedica un intero capitolo, il secondo, alla parabola del Buon Samaritano dove a generare quanto rimane come un atto di carità, di fratellanza in molte culture e in ogni tempo, sono i briganti appostati nella strada che da Gerusalemme scende a Gerico. Il samaritano dagli ebrei considerato scarto che sì dà cura dell’aggredito, dello straniero, senza pretendere nulla in cambio, appartiene al tempo dei giusti molto più di mercanti e farisei, gente incapace di perdono, che stanno nella stessa Chiesa. Anche per loro vale la Preghiera Cristiana Ecumenica che chiude l’enciclica: «Vieni, Spirito Santo! Mostraci la tua bellezza/riflessa in tutti i popoli della terra/ per scoprire che tutti sono importanti, /che tutti sono necessari, che sono volti differenti/della stessa umanità amata da Dio. Amen».

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[in foto Arcabas, La Madonna col Messia]

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