La fame del pane di Dio
di Pietro Puggioni

22 Luglio 2021

4' di lettura

Una fede incarnata nella vita non può ignorare una delle definizioni dell’uomo come essere che ha sempre fame. Filippo, tirato da Gesù dentro il problema della folla che ha fame ma non pane, riconosce l’impossibilità di una soluzione con i 200 danari della cassa dei discepoli. Andrea si ferma alla segnalazione dei 5 pani d’orzo e due pesciolini di un ragazzo previdente. La situazione viene risolta da Gesù che poco prima, guarendo un paralitico, prefigurava l’uomo nuovo che torna in piedi per camminare con una vita nuova. Ora, passando all’altra riva del lago, simboleggia il passaggio del Mar Rosso verso la nuova terra promessa del pane preso e donato. «Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti» (Gv 6,11). Il pane mantiene la vita, permette il futuro, assicura la libertà dell’uomo, Gesù prende in mano la vita, la sua vita, per donarla e quella dell’uomo per assimilarla alla sua. Rende grazie per affermare l’origine del pane come dono del Padre ai suoi figli. Giovanni non descrive l’istituzione della Eucaristia eppure questa pagina evangelica ha il sapore e il richiamo forte dell’ultima Cena. La nostra prima esperienza delpane è legata al gesto dei nostri genitori attorno alla mensa insieme ai figli, perché il pane è relazione non semplice nutrimento. Ogni pane, ridotto a cibo e privato di valore relazionale, perde il significato più profondo che raccoglie: lavoro, fatica, futuro, sogno, condivisione, e diventa pane tradito. Nessuna Eucaristia è un fatto privato, tanto meno proprietà privata: “la mia messa”. Non abbiamo il nome del ragazzo simpatico che mette a disposizione il suo pane di “orzo”, proprio dei servi e dei più poveri. La moltiplicazione dei pani non avviene partendo dal nulla, ma dalla prima condivisione di ciò che il bambino offre. Deposto nelle mani di Gesù acquista valore perché diventa segno d’amore del Padre e gesto di condivisione coi fratelli. Problema non è il poco o il molto del ragazzo o della cassa dei discepoli, ma la presenza o l’assenza di Gesù. Così inizia una festa di popolo con poco pane di “orzo”, e Gesù la salva perché vuole la gioia, come farà alle nozze di Cana dove il vino degli sposi era ugualmente scarso per quantità e qualità. «C’era molta erba in quel luogo» (v. 6,10). Glialtri evangelisti collocano questo episodio nel deserto, Giovanni, con questo particolare, richiama il profeta Isaia del “deserto fiorirà”: il Signore fa scaturire nuovamente le sorgenti dell’amore nella steppa arida e tutto può nuovamente fiorire. Anche il nostro cuore stanco e affannato ritrova nella sua presenza la vita perduta e si apre come uno splendido fiore del deserto. Possiamo invitare il fratello non credente, che col poeta dice: “forse ho fame di cose sconosciute”, a sedersi sull’erba del banchetto di Dio per conoscere e gustare il pane della vita e della speranza. «Raccogliete i pezzi avanzati perché nulla vada perduto» (v. 12). L’abbondanza del pane di Dio non ne sminuisce il valore. Anzi un invito a non trovarci sprovvisti quando la fame ritorna. Pensiamo alla fatica dell’amore coniugale nei giorni dell’aridità e della prova: hanno conservato il canestro del pane avanzato all’abbondanza del giorno del Matrimonio? Sanno bussare nella notte alla porta della comunità dove il pane di Dio è inesauribile? Sanno accogliere chi, mendicante come loro, vuole essere loro compagno di viaggio? Non solo del pane eucaristico ma anche dell’essere dono reciproco: lo sposo per la sposa, i genitori per i figli, i laici per il clero, i politici per i cittadini ecc.

donpietropuggioni@gmail.com

© riproduzione riservata L’immagine: Raffaellino del Garbo, Moltiplicazione dei pani e dei pesci (1503), Chiesa di Sant’Antonio, Firenze

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