La brutta informazione sui casi Saman e Seid
di Francesco Mariani

24 Giugno 2021

3' di lettura

C’è una tragica vicenda che sta passando sotto silenzio, non tanto nel suo aspetto di cronaca quanto nelle sue implicazioni politiche. È il caso di Saman, uccisa dai suoi familiari per non avere voluto accettare un matrimonio forzato che la famiglia le voleva imporre. Stavolta, a differenza di altri casi, non si è parlato di “femminicidio” e non è scattata la gara pirotecnico-mediatica delle femministe, degli antirazzisti e dei paladini dei diritti civili. La giornalista Ritanna Armeni ha fatto “autocritica”, anche a nome delle altre femministe italiane, parlando di un “sottile razzismo” che sarebbe scattato nel solo caso della ragazza pakistana. Ma si tratta di una vox rara. Perché questo silenzio? La settimana scorsa, in una intervista alla Nazione, Luca Ricolfi spiegava questo fatto con una sorta di “occhio di riguardo” che i progressisti continuano a riservare all’islam. «La sinistra teme che i lati più imbarazzanti di quella cultura, e in particolare il suo modo di trattare la donna, compromettano il progetto politico di diventare i rappresentanti elettorali di quel mondo, grazie all’allargamento del diritto di voto agli immigrati» . In nome di un politicamente corretto la sinistra è spinta a garantire “una protezione speciale” a minoranze come i musulmani. Altri commentatori hanno fatto un paragone con l’indignazione mediatica scattata invece per il suicidio del giovane etiope Seid Visin. Grandi giornali e “intellettuali” hanno cercato in tutti i modi di far passare per razziali le motivazioni del gesto del giovane, nonostante il padre le abbia ripetutamente e pubblicamente smentite. Roberto Saviano, dall’alto della sua infallibilità di pontefice laico ci ha spiegato che Seid, in poche parole, è stato ucciso da Matteo Salvini e Giorgia Meloni: «Un giorno farete i conti con la vostra coscienza», ha sentenziato. Criminalizzare l’avversario è caratteristica di ogni autoritarismo. Il fatto è che porre come priorità nazionali ius solie ius culturae, senza prima stabilirne le regole, ci fa diventare strabici. La cittadinanza non è un regalo ma una conquista. Essa non può essere conferita a soggetti che non si riconoscono nel dettame costituzionale e nelle leggi che da esso promanano. I matrimoni combinati, la pena di morte praticata, la poligamia, l’infibulazione e le mutilazioni sessuali, la segregazione delle giovani donne ed il divieto di frequentare le scuole, sono cose finora non previste nello Stato italiano. Ricordare questo espone al rischio di essere additati per razzisti. Lo ius soli è una logora trovata illuminista: la cittadinanza, oggi non è legata al suolo e al sangue (ethnos) ma alla condivisione di una serie di valori, per quanto socialmente in continua trasformazione, legati alla cultura (all’ethos), non all’etnia. La cittadinanza offre diritti, ma richiede ancor prima doveri, incluso il rispetto della persona e della democrazia. Lo ius culturae, concedendo la cittadinanza a chi ha fatto la scuola qui, presuppone questa adesione. Non a caso la cittadinanza prevista dallo ius culturae non è automatica, ma su richiesta esplicita. Questo dovrebbe evitare quanto accaduto in Francia con automatismi formali, e nel modo anglossassone con una sommatoria di ghetti culturali che non si parlano tra loro, ognuno chiuso nel culto della sua identità. © riproduzione riservata

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