I costi del Cpr di Macomer
di Franco Colomo
5 Novembre 2024

A pochi chilometri da Nuoro ha sede un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Operativo dal 2020 nell’ex carcere di massima sicurezza di Macomer (chiuso nel 2014 per assenza di parametri legali minimi previsti per le istituzioni penitenziarie), è il primo centro di detenzione amministrativa per migranti in Sardegna e ha una capienza di 50 posti. In pochi giorni è balzato agli onori della cronaca per due differenti Report. Il primo documento, curato dall’associazione Naga di Milano e dalla rete Mai più lager, è frutto di un accesso effettuato presso il Cpr nel marzo scorso da una delegazione composta da una parlamentare italiana, un operatore legale volontario dell’associazione e un medico. Il report documenta una serie di gravi criticità tra cui violenza e razzializzazione, degrado e abbandono, mancanza di tutela legale e accesso ai diritti, problematiche di salute mentale spesso curati ricorrendo a trattamenti farmacologici a scopo sedativo. 

È bene ricordare come un analogo rapporto sia stato stilato dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione dopo la visita al Cpr avvenuta nel giugno 2022. Già allora si faceva riferimento a mancanza di informazioni adeguate per i detenuti, limitato accesso al diritto di difesa, restrizioni alla libertà di comunicazione, problemi con la tutela della salute, in generale condizioni di detenzione precarie con spazi ristretti, scarsa pulizia e mancanza di attività ricreative. Tra queste due visite c’è quella della Garante regionale dei detenuti che nell’estate scorsa ha denunciato condizioni ai limiti della sopravvivenza a causa del caldo.

Se anche tutto questo risultasse “di parte” è arrivato nei giorni scorsi il rapporto congiunto ActionAid-Università di Bari. Il Report ricostruisce anche la storia della gestione da parte delle cooperative che si sono succedute negli anni, vincendo le gare d’appalto con offerte al ribasso e ciò che ne consegue per la qualità dei servizi offerti.

Ma se pure le preoccupazioni dal punto di vista puramente umano non dovessero bastare – eppure dovrebbero dato che è in gioco la dignità della persona -, è bene lasciare parlare i numeri. Nel periodo 2020-2023, il Cpr di Macomer ha registrato una media di 43 presenze giornaliere e di 222 ingressi annuali. Il tempo di permanenza medio è stato di 68 giorni, quasi il doppio rispetto alla media nazionale del periodo. La percentuale di rimpatri eseguiti è del 24%, un dato più basso della metà rispetto alla media nazionale del periodo. Molto più alta rispetto alla media nazionale è invece la percentuale media di uscite per decorrenza termini del trattenimento, che raggiunge il 48% degli ingressi.

Ancora, dato che gli italiani sono sensibili soprattutto al denaro ecco quanto costa il Cpr di Macomer: nel periodo 2020-2023 ha avuto un procapite prodie medio di euro 37,94, largamente al di sopra della media nazionale. Nello stesso periodo il costo complessivo della struttura è stato di oltre cinque milioni di euro, di cui il 41% spesi per costi di manutenzione straordinaria. Nel 2023 il Cpr di Macomer è costato complessivamente poco più di un milione di euro, per un costo medio di un singolo posto di quasi 21 mila euro.

Si parli dunque dei Cpr, ma alla luce dei dati di realtà.

Intervistato sul tema da Radio Barbagia, il sindaco di Macomer Riccardo Uda, pur sostenendo che nel centro «viene garantito tutto ciò che è necessario», ha riconosciuto come «rinchiudere per 18 mesi dei cittadini in una detenzione amministrativa, che già è un obbrobrio giuridico, nello spazio ristretto di un ex carcere non è il massimo per una società civile».

Dal 2020 è attivo un Organismo di monitoraggio sul Cpr istituito con decreto del prefetto di Nuoro. È composto da un rappresentante rispettivamente della Prefettura, della Regione, del Comune di Macomer e dell’ente gestore del Cpr. La sua istituzione discende dal “Patto per la sicurezza urbana” siglato il 28 febbraio 2018 dalla Prefettura di Nuoro, dalla regione, dai comuni di Nuoro e Macomer, da Anci Sardegna e dal Consiglio delle autonomie locali. È lecito dubitare che tali istituzioni siano a conoscenza di far ancora parte di questo organismo.

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