Un modello di famiglia che resiste da oltre trent'anni, quello dei Simpson (© Fox Broadcasting Company)
C’è bisogno di educatori
di Franco Colomo

17 Maggio 2022

9' di lettura

Quelli che “Mio figlio non si sostituisce” e insultano l’allenatore o litigano sulle tribune, quelli che “la mascherina no” e “il vaccino no” perché ne sanno più della pediatra, quelli che “la maestra non si deve permettere” e inondano le chat di whatsapp di messaggi intimidatori, quelli che fanno gli avvocati difensori dei figli e poi finisce in rissa nel cortile della scuola. Non sono più casi isolati, gli episodi che vedono protagonisti i genitori si moltiplicano. Per andare oltre la cronaca e tentare di comprendere questi fenomeni abbiamo interpellato il dottor Lorenzo Braina, pedagogista ed educatore molto conosciuto e apprezzato.

Dottor Braina, in questo tempo vediamo sempre più genitori allergici alle regole o incapaci di riconoscere altre figure, come gli insegnanti. Sembra sia venuto meno il patto educativo.
«Un vero patto educativo scuole-genitori credo non sia mai stato stilato in nessun tempo se non con rare, meritorie e meravigliose eccezioni. Basta vedere le assemblee convocate dalla scuola: c’è spesso da parte dei genitori e degli insegnanti, anche nei casi migliori, il lavorare in maniera parallela e questo va bene finché non sorge il problema che poi diventa un conflitto insanabile perché non ci si conosce e non ci si frequenta. Mi viene da fare una domanda: siamo sicuri che all’interno delle famiglie ci sia il patto educativo tra padre e madre? Spesso gli stessi genitori agiscono parallelamente. I grandi conflitti all’interno delle famiglie sono proprio sull’idea, sulla gestione. Più che vedere due schieramenti, scuola e famiglia, io vedo adulti in difficoltà a coordinare la loro azione educativa, anche tra padre e madre».

Che fare allora, da genitori?
«Innanzitutto sapere che l’altro più è diverso da me e più mi serve. Non a caso ci si sposa tra persone così diverse perché la natura fa le cose bene, ti fa accendere per qualcuno molto diverso da te perché per educare i figli la diversità – il genitore protettivo e il genitore normativo – è la ricchezza. Questa cosa avviene in tutte le famiglie, con uno che chiude di più e uno che apre di più. Quando ci rapportiamo alla scuola spesso vorremmo avere da parte degli insegnanti lo stesso stile nostro, invece è utile sia diverso. Quindi ciò che serve comprendere è che chi è diverso da me nello stile, nell’approccio, mi è molto utile. Dico sempre ai genitori “l’insegnante che ti è più utile è quello che non ti piace, che non ti somiglia”. Per questo c’è un proliferare delle esperienze di scuole fatte in casa, perché vorresti che tuo figlio a scuola trovasse esattamente te, il che è assolutamente devastante. A scuola se per esempio sei attento ai risultati è importante che trovi un insegnante molto amorevole sennò tuo figlio scoppia».

A proposito di famiglia, l’istituzione vive una crisi profonda ma allo stesso tempo anche un mancato riconoscimento da parte della società e della politica, pensiamo alle politiche familiari. Sbaglio?
«No, la politica tendenzialmente deve garantire tutte le relazioni di cura. Non vale solo per l’educazione, vale per gli anziani, pensi alle famiglie che hanno un sofferente mentale in casa. La politica, parlo di quella alta, è totalmente delegante e deresponsabilizzante. Alle famiglie viene data tutta la responsabilità, come durante il Covid, e i sostegni sono stati ridicoli, la famiglia è sempre invitata ad arrangiarsi».

Eppure, paradossalmente, il tempo del Covid è stata occasione anche per ritrovarsi, possiamo parlare degli aspetti positivi?
«Sì, come sempre nei grandi momenti di crisi si aprono grandi opportunità. Per esempio, la prima chiusura è stata per molti di noi un’occasione per rallentare, per fermarsi. È ricordata da moltissimi bambini e ragazzi come un bel momento perché ci ha dato l’occasione di capire che le relazioni hanno bisogno di lentezza. La cosa positiva, nel mio lavoro, è che ho notato molti ragazzi, bambini, scuole, che stanno cercando di conservare questa lentezza. Altri no e hanno immediatamente ripreso la nevrosi del tempo contemporaneo in cui non troviamo mai equilibri tra il piacere e il dovere, corriamo, corriamo verso non si sa bene cosa».

Per molti ragazzi e adolescenti, d’altra parte, è stato invece un tempo drammatico dal punto di vista psicologico. Come affrontare il disagio che si è creato?
«Racconto sempre che ero stato invitato a un convegno a marzo 2020, prima del Covid, sull’adolescenza e sulle emergenze delle neuropsichiatrie. La pandemia non ha fatto altro che metterci davanti ciò che noi eravamo e dare modo a tanti ragazzi che erano latenti di manifestare il loro disagio. Il problema è che noi viviamo in un tempo di grandi storture educative, i ragazzi e i bambini ce lo stanno raccontando. I servizi sono sempre più spogliati, pensi cos’è in questo momento la sanità a Nuoro o a Oristano. Io dico che noi siamo surfisti nello tsunami: c’è un’onda di malesseri adolescenziali che ci sta travolgendo e noi bellamente ci facciamo surf sopra come se stesse andando tutto bene, non ci rendiamo ancora conto».

Bisognerebbe rafforzare il supporto psicologico.
«Abbiamo un doppio problema: uno è dare risposta ai malesseri che si sono manifestati, come disturbi del comportamento alimentare, fobie sociali, aggressività e violenza anche in famiglia da parte di bambini e ragazzi. Le cliniche sono piene, non prendono addirittura neanche casi di ragazzi con intenzioni suicidarie, non hanno spazio.
L’altro problema è lavorare affinché queste situazioni non si verifichino, quindi sostenere le famiglie, gli educatori, gli insegnanti, la scuola, con interventi veri. Prima del neuropsichiatra, prima della diagnosi, c’è una assenza educativa, o meglio una stortura educativa che non abbiamo aiutato. La ragazza che finisce in una clinica ha una storia di cui dovevamo farci carico prima, dopo diventa difficile dare risposta a tutti. Dobbiamo prima o poi salire a monte, aiutare chi deve educare per fare in modo che questi ragazzi non si perdano».

Come è cambiato il suo lavoro in questi ultimi anni?
«Vedo un’enorme sensibilità da parte delle piccole amministrazioni, da chi è sul territorio e più facilmente ha un contatto diretto con le persone.
Ci sono comuni di 300 abitanti che mettono in campo risorse importanti per aiutare le famiglie nell’ambito educativo. Vedo sensibilità a cui non corrisponde una politica generale che sostenga chi partorisce, con sostegni reali, asili nido che funzionino, servizi flessibili che aiutino donne e famiglie. Il mio lavoro è molto cambiato, sono un vecchio educatore, abbiamo iniziato a fare questo lavoro occupandoci di ragazzi e bambini lì dove c’era stata una mancanza educativa. Adesso abbiamo ragazzi con famiglie educanti, ma come dicevo, con storture educative: famiglie presenti ma non in grado di leggere il contesto e i bisogni dei bambini».

Anche la realtà ecclesiale fa sempre più fatica in quest’ambito, pensiamo alle difficoltà che si incontrano con i ragazzi e i giovani.
«Spesso vengo invitato da sacerdoti, vescovi, per tenere incontri nelle parrocchie. Vedo una crisi un po’ diversa, c’è la crisi di frequenza, la dispersione di ragazzi dopo la cresima, ma anni fa proprio un Vescovo con cui lavorammo insieme mi disse: “A me non dispiace se li perdo il giorno della cresima e li rivedo il giorno del matrimonio, a me dispiace se in quel frangente sono andati in giro senza portare quei valori che noi avremmo dovuto trasmettere. Se i cristiani portano in giro per il mondo i valori di Cristo io accetto anche la chiesa vuota” diceva lui. Il punto non è se loro frequentano ma se noi siamo riusciti a trasmettere quei valori».

Sempre più spesso, pensiamo alle società sportive, si cerca di affiancare agli allenatori figure che si occupano di educazione, è un fatto positivo?
«Recentemente ho fatto un lavoro simile per il settore giovanile del Cagliari calcio. Anche i professionisti non sanno che noi dobbiamo formare persone, qualunque sia la strada che poi una persona percorre. Un mondo con più educatori sarebbe un mondo migliore ma spesso li chiamiamo quando c’è la mancanza».


  • CHI È Educatore e divulgatore pedagogico

Originario di Arborea, Lorenzo Braina lavora da oltre trent’anni nel campo dell’educazione. Prima come maestro di strada occupandosi di situazioni di disagio, devianza e malessere, poi occupandosi di divulgazione pedagogica, consulenze e formazione. Tiene conferenze, corsi di formazione e seminari in tutta Italia e riceve famiglie, bambini e ragazzi nei suoi studi di Cagliari e Oristano, dove ha fondato e coordina il Centro Crea per la creatività educativa. Si dice «convinto che il mondo possa essere cambiato con la costante volontà educativa, per questo – come scrive sul suo sito lorenzobraina.it – lavoro per divulgare la cultura della cura educativa e del rispetto verso ogni bambino». Tra i suoi libri Genitorando. L’educazione dei figli tra regole ed emozioni; Album di famiglia. Libere riflessioni sull’educazione dei figli; Figli, fantasmi e formaggi. Storie di educazione e di bellezza; I bambini lo sanno; Dato al mondo, tutti editi da Il Camarillo Brillo.

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