Aiutiamo ad avere una prospettiva di speranza
di Franco Colomo

28 Gennaio 2021

4' di lettura

Stanchezza, incertezza, preoccupazione ma anche stati di ansia o al contrario di ira, sono i principali stati d’animo quando non le patologie che i ragazzi dichiarano di vivere in questo periodo. Forse anche grazie a questa consapevolezza – la ricerca Ipsos a cui facciamo riferimento in questa pagina è stata ripresa da tutti i media – «finalmente si sta spostando il punto non solo sul problema sanitario che c’è, è reale, ma anche sull’impatto che questo ha nella gestione della paura, nell’allontanamento dei giovani dalla vita sociale». A sottolineare questo aspetto è la dottoressa Francesca Licheri, psicologa e psicoterapeuta: «Manca l’ascolto di cosa questi aspetti possono voler dire – afferma – cosa significa non poter uscire come prima all’oratorio, alla palestra. Tutto ciò che rimane qualcuno ha da gestirlo, spetta a chi cerca di far tutto ma tutto non si può fare». Da quel «piccolo palcoscenico» che è il suo studio nel quale la psicologa riceve genitori e adolescenti entra a contatto con due estremi: «Non ho mai lavorato come da febbraio a oggi con stati di ansia, attacchi di panico, si sta abbassando l’età della depressione e questo mi interroga molto perché ha in sé la demotivazione, l’apatia, la mancanza di speranza. Ci sono quelli che hanno difficoltà a varcare la porta di casa – spiega La dottoressa Licheri –, un po’ perché si è perso l’allenamento un po’ perché il messaggio “restate a casa” ha avuto un impatto. Viviamo una situazione in cui internet è diventato strumento per stare in contatto con tutti ma senza una modulazione. Ad esempio oggi tutti conoscono Netflix(piattaforma per distribuzione di film e serie tv sul web ndr), di per sé non è un problema ma mi chiedo se accanto ci sia un adulto capace di accompagnare. Da una parte dunque abbiamo adolescenti e preadolescenti che hanno validato che va bene isolarsi, dall’altra coloro che manifestano più che ansia la rabbia, il malcontento». È dei giorni scorsi l’episodio, raccontato dalle cronache locali, di un giovane che ha chiesto scusa dopo essersi ribellato a un controllo di Polizia: «Quello è un grido di aiuto – commenta la psicologa –, cosa si può fare nelle nostre comunità? Va bene che non ci possiamo vederenei modi abituali ma cosa possiamo dare ai nostri ragazzi? Ci sono luoghi verso i quali li stiamo incanalando, i negozietti h24 ad esempio, cosa abbiamo fatto per creare situazioni affinché i ragazzi facessero altro? Ci sono per fortuna anche belle realtà che vanno aiutate e incentivate». Concretamente nel suo lavoro la psicologa lavora su un doppio canale. Il sostegno alla genitorialità e poi quello ai ragazzi. «Dico che ciò che stiamo vivendo ha un senso, le emozioni vanno bene e possono trovare risposte costruttive. Sull’ansia, vediamo cosa fare per affrontare i pericoli. I genitori sono convinti che i ragazzi vadano protetti come in una bolla, no, dobbiamo dare strumenti per fronteggiare le avversità. Il Covid – prosegue – è un reale pericolo, la prima fase aveva un senso, ora non basta più, conosciamo il pericolo ma cosa possiamo fare per tutelarci? Su questo ancora c’è da fare a tutti i livelli. Vanno aiutati genitori, gli insegnanti». In generale il tema del supporto psicologico non è stato toccato: «Penso ai figli di personale sanitario, agli infermieri con attacchi di panico, ai corrieri, l’attenzione alla cura psicologica è importante in particolare nelle fasce esposte al contagio. Va curato e manca, non c’è la mentalità». Occorre sottolineare un aspetto: «Per certi aspetti giovani e bambini hanno recepito la gravità della situazione e il bisogno di un sacrificio. Vanno incentivati, va detto loro che sono stati bravi ma che c’è ancora c’è bisogno di uno sforzo. Vanno proposte alternative, non un altro schermo dopo una giornata di Dad ma magari un racconto, un confronto. Gli adulti devono sostenere e aiutare bambini e ragazzi ad avere una prospettiva di speranza. Il malessere – conclude Francesca Licheri – è reale, abbiamo da accompagnare una comunità educativa, ognuno deve chiedersi che risposta può dare. I ragazzi ci guardano». © riproduzione riservata

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