La poesia di Antonio Sanciu
di Venturella Frogheri

5 Aprile 2022

7' di lettura

Il patrimonio della nostra letteratura sarda contemporanea in limba si arricchisce in questi giorni grazie ad un nuovo autore. Si tratta di Antonio Sanciu, nativo di Buddusò, laureato in Lettere Classiche, già funzionario Archeologo della Soprintendenza, direttore di numerosi scavi archeologici, e ora soprattutto poeta. Vive a Nuoro, alcune sue poesie hanno ricevuto significativi riconoscimento al Premio Logudoro di Ozieri. Sa chigula non sessat de cantare è il titolo della sua pregevolissima raccolta di poesie in lingua sarda, pubblicata per i tipi della casa editrice EDES di Sassari. L’elegante volume, impreziosito dalle suggestive immagini fotografiche di Salvatore Pirisinu, propone una ricca serie di pregnanti composizioni in lingua sarda (accompagnate anche dalla traduzione italiana), che si dipanano all’interno di sezioni particolari: rimas de amore, rimas dae s’ateru mundu, rimas dae su mundu antigu (Sardigna e Ellade), ateras rimas. Per intendere nel suo autentico significato la innegabile valenza di questa pregnante silloge poetica, è bene forse partire dal titolo scelto: Sa chigula non sessat de cantare: “La cicala non smette di cantare”. Non è certamente casuale il riferimento alla cicala: il filosofo Platone nel suo dialogo Fedro racconta che queste creature canore ebbero origine da uomini appassionati del canto, animati da un inesausto desiderio di dar voce ai loro sentimenti attraverso la musica. Vengono in mente le parole di Antonia Pozzi, suggestiva voce poetica del Novecento: “Vivo della poesia come le vene vivono del sangue”. La passione, la cura, la dedizione attenta alla creazione del linguaggio poetico, trasferita al nostro presente, si rivela essere la medesima diffusa, come un’eco leggera, dai versi dei componimenti di Antonio Sanciu. Un esordio letterario maturo, il suo, una vocazione poetica che viene a noi offerta oggi ma che è sicuramente attinta da scaturigini profondissime, alimentata da pensieri, passioni, meditazioni, emozioni di tutta una vita. “Prima di imparare a scrivere – ammoniva Alda Merini – guardati nell’acqua del sentimento”. Sembra proprio che l’autore abbia fatto sua questa esortazione, perché è proprio sul sentimento che si disegna la linea che attraversa il suo itinerario poetico, percorso da emozioni, scandito da immagini che richiamano, evocano una profonda sensibilità, una rara capacità di guardare la realtà, contemplarla quasi con sguardo di meraviglia; per scoprire con stupore le cose, gli uomini, la natura, e per ritrovare negli elementi che la compongono frammenti di sé. Una affascinante miscela di suono e anima. Addentrarsi tra i versi di Antonio Sanciu è una felice, appagante esperienza che accresce nel lettore emozioni, come se si iniziasse un viaggio che suggestivamente conduce in regioni di inedita freschezza. E’ la magia delle parole che compongono, come attraverso misteriose alchimie, immagini di particolare, vivida icasticità. Si veda ad esempio con quali delicati accenti di tenerezza esprima il suo amore per la donna amata: “Istrinta a forte ti tenzo sa manu/sos pes in terra non sun pius tochende/ tue sola ses sa rosa mia dichida// tue sola ses su frore meu galanu/ a tie anima e coro so donende/ e non ti lasso pius pro tota vida”. E ancora “Chi est sa reina de su coro meu/ cal’est sa gemma mia pius pretziosa? Ses tue e non nde sias pius dubitosa/ e ne pro me mai pius sias in anneu,/tue se sa vida mia ses su recreu/ e a tie ap’a donare custa rosa”. O ancora: “Frimma est s’aera e non tirat benu/ e tue chin mgus non ses birgonzosa,/ ma gentile cumprida e cuidadosa: so in paradisu in custu mamentu”. La lingua sarda nella sua musicalità (resa perfettamente dalla piena competenza del poeta nell’ambito della metrica e della rima) si piega a rendere i versi così autenticamente, profondamente umani, così veri che li sentiamo parlare dentro di noi. Davvero la sua poesia è vita che rimane impigliata in una trama di parole, per dirla con l’espressione coniata da Sebastiano Vassalli. La sezione di rimas dae su mundu antigu dedicata alla Sardegna offre al lettore la testimonianza di un amore e di un attaccamento profondo da parte dell’autore alla sua isola, riprodotta nella bellezza aspra e selvaggia dei suoi paesaggi straordinari (in Notte a Ilune “Biancas rocas ispentuman in mare/ che turres e muraglias de casteddos), nell’incanto evocato dai luoghi che alludono a favole e leggende antichissime, patrimonio atavico rivissuto come in sogno: ne sono emblema In su tempiu de Babbai Sardu, o In sa tumba de su zigante. Merita poi sicuramente una particolare attenzione la sezione di rimas dedicata all’antico mondo dell’Ellade: vi spiccano componimenti che non tanto traducono quanto piuttosto davvero efficacemente ri-creano dinnanzi agli occhi del lettore le suggestioni degli originali classici latini e greci, a testimonianza non solo della straordinaria, persistente vitalità dei poeti antichi, ma anche della mirabile caratteristica della lingua sarda di poter efficacemente rappresentare in maniera espressiva e densa la bellezza e le profonde valenze degli originali. Bellissimo il componimento Carpe diem, che perfettamente evoca le atmosfere proprie di Orazio “Coro meu, non deves dimandare/ista segura, est mentzus de no ischire/ cando sa vida nostra at a finire/e cantos ierros b’amus de colare…/. Particolarmente apprezzabili poi i versi dedicati alle fatiche di Eracle, o alla storia di Policrate di Samo, o alle cause che determinarono la guerra di Troia (Discordia e vanidade). La ricchezza, la varietà della ispirazione poetica di Antonio Sanciu procede lungo le molteplici e polivocali vie del canto, e riguarda anche una attenzione particolare a ciò che è oltre il finito, la contingenza: nelle rimas dae s’ateru mundu ecco la “poltiscione de sas animas”, o la “note de sas animas”, o ancora “Sos diaulos de Fonne”: attraverso immagini che rimandano ad umbratili presenze, ad arcani misteri, ad inesplicabili realtà, il poeta sembra addentrarsi curioso in una dimensione irrazionale e fa trasparire come un velo di pensosa malinconia. In ateras rimas alcuni brani rivelano invece l’attenzione e la sensibilità dell’autore verso temi che attraversano drammaticamente la nostra contemporaneità: l’inquinamento, per esempio: nel Cuntrastu tra Deus e s’omine Dio rimprovera all’uomo il fatto che “prima sa terra fit unu giardinu/ e como nd’azis fatu un’arenalzu”, o le migrazioni (in “E naran chi s’istoria est mastra ‘e vida”). In tutti i suoi componimenti Antonio Sanciu rivela la speciale densità di un ricchissimo mondo interiore, in cui tenerezza, amore, garbata ironia, solitudine, illusione, sogno, sono portati a momenti di estrema trasparenza, come se passassero attraverso una luce. Il suo è un linguaggio delle emozioni in grado di trasmettere le vibrazioni dell’anima sollevando ricordi, odori, colori, sentimenti sopiti che sono i significati delle parole sedimentate in noi, che si traducono in emozioni appunto. Ecco perché Sa chigula non sessat de cantare è un libro da leggere, e rileggere, con “l’intelligenza del cuore”. © riproduzione riservata Illustrazione di Danilo Rovai (Pubblicata in:”Repertorio degli Incisori Italiani”, a cura del Gabinetto delle Stampe Antiche e Moderne del Comune di Bagnacavallo, Faenza, Edit, 2008, Vol. V, p. 119).  

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